Figli islamicamente corretti

Sorpresa. Nei paesi islamici, che per alcuni aspetti non sono in prima linea nella tutela dei diritti civili, la normativa relativa alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (Pma) appare decisamente più liberale di quella italiana. Sono i risultati di un’indagine condotta dall’Osservatorio sul Turismo Procreativo presentata a margine del Congresso scientifico internazionale “Tecnobios Procreazione Symposium 2008 and 3rd International Conference on the Cryopreservation of the Human Oocyte”, a Bologna dal 26 al 29 novembre.

La ricerca ha preso in esame diversi paesi del Maghreb e del Medio oriente (Egitto, Tunisia, Libia, Marocco, e poi Arabia saudita, Emirati arabi uniti, Siria, Giordania, Iran), a partire da un dato per certi aspetti sorprendente: anche in questi paesi il problema dell’infertilità comincia a farsi sentire in modo sostanziale. Secondo la World Fertility Survey, per esempio, a partire dagli anni Settanta il tasso di fertilità nei paesi arabi è diminuito in media del 38%, un declino superiore a quello registrato nei paesi latinoamericani, asiatici, dell’Oceania o dell’Africa sub-sahariana. Negli ultimi 30 anni, in Tunisia, per esempio, si calcola che il tasso di fertilità sia sceso del 64%, in Marocco del 57%, in Giordania del 52%, in Siria del 49%, in Egitto del 38%. Sono dati che, secondo Eltigani E. Eltigani, del Department of Economic and Social Affairs dell’Onu, raccontano di una società in mutamento, dove la donna decide, se può, di sposarsi più tardi, di lavorare e dunque di posporre la decisione di avere figli. Ma che sono anche la spia di un tasso crescente di infertilità vera e propria, intesa come l’incapacità di ottenere una gravidanza dopo 12 mesi di rapporti sessuali senza contraccezione. Uno studio di Gamal Serour dell’International Islamic Center for Population Studies and Research della Al-Azhar University del Cairo, in Egitto, mostra infatti che nei paesi arabi il tasso di infertilità riguarderebbe il 10 – 15% delle coppie sposate, per un totale di 29-44 milioni di persone con problemi di sterilità.

Non stupisce dunque che anche nel mondo islamico le cliniche che offrono tecniche di procreazione assistita stiano andando incontro a un vero e proprio boom. In Egitto, per esempio, per una popolazione di circa 70 milioni di abitanti, sono disponibili tra i 50 e i 60 centri privati, mentre in Libano, che ha una popolazione di appena quattro milioni di persone, sono stati individuati almeno 15 centri, con una delle concentrazioni pro capite più alta del mondo. I dati estrapolati dall’ultimo rapporto del comitato internazionale di controllo sulle Pma (Icmart) del 2006 dicono che in Marocco, dove sono presenti almeno 14 centri, l’accesso alle tecniche di procreazione assistita è di circa 60 cicli per milione di abitanti, mentre in Tunisia arriva a toccare i 350 cicli per milione.

“Naturalmente non si tratta di tecniche a portata di tutte le tasche: soprattutto nei paesi a basso reddito dell’area, molti pazienti sterili non possono permettersi i costi dei trattamenti, che superano anche i 4.000 dollari, con una media di 2.500 dollari a ciclo”, commenta Andrea Borini, direttore dell’Osservatorio. E così, uno studio condotto in Egitto mostra che il 90 per cento dei pazienti ritiene il costo eccessivo, che tra il 15 e il 40 per cento dei pazienti non è in grado di affrontare la terapia e che solo il 40 per cento dei pazienti può permettersi di ripetere la procedura in caso di fallimento.

Di fronte a una richiesta crescente, le istanze religiose hanno, almeno in quest’ambito, saputo trovare una sintesi tra la conservazione della tradizione e le possibilità offerte dalle nuove tecnologie. “Quella islamica è una religione relativamente aperta e accomodante nei confronti del progresso scientifico. E un buon musulmano è comunque incoraggiato a trovare una soluzione ai problemi di infertilità nelle tecniche di riproduzione medicalmente assistita, visto che l’adozione non è considerata una soluzione accettabile per le coppie con problemi di infertilità”, continua Borini. Tuttavia, anche all’interno del mondo islamico esistono differenze tra sunniti e sciiti. In particolare, mentre i primi non ritengono accettabile la donazione di gameti, sia maschili che femminili, che viene vista come l’ingresso di una persona “terza” nella coppia e dunque una pratica assimilabile all’adulterio, i secondi prevedono una forma di matrimonio temporaneo di un uomo già coniugato con una donna donatrice, per il tempo strettamente necessario al prelievo degli ovociti da fecondare e da reimpiantare nell’utero della moglie infertile. Scongiurando in questo modo l’accusa di adulterio.

In linea generale, comunque, l’Islam non prevede esplicitamente divieti per quanto riguarda il numero di ovociti da prelevare e da fecondare, non pone limitazioni al numero di embrioni da reimpiantare, né vieta la crioconservazione di gameti ed embrioni. Qualche esempio: in Egitto le linee guida che regolano la materia prevedono l’accesso alle tecniche di Pma solo per le coppie sposate, ma non specificano il numero di embrioni da trasferire. È consentita la crioconservazione degli ovociti e degli embrioni (quest’ultima per un periodo di tempo illimitato), e la diagnosi genetica preimpianto è ammessa e utilizzata anche per la selezione degli embrioni. In Giordania e in Libia non vi è limite al numero di embrioni da trasferire, ma si accetta come limite massimo quello di 5. Anche in Siria è consentita la crioconservazione di embrioni e di sperma. In Tunisia le tecniche di fertilizzazione in vitro sono disponibili sin dal 1991 sia negli ospedali pubblici che nelle cliniche private. Secondo la normativa, l’accesso alle tecniche di Pma (per le quali un’assicurazione pubblica prevede la copertura parziale delle spese) è consentita solo alle coppie sposate. Non viene specificato il numero di ovociti da prelevare e da reimpiantare in utero, mentre sono consentite sia la diagnosi genetica preimpianto che la crioconservazione di gameti e di embrioni, se sostenuta da una richiesta scritta della coppia.

A stupire più di altre è tuttavia la situazione dell’Iran. Con circa un milione e mezzo di coppie infertili, questo paese, a maggioranza Sciita, sta diventando la meta preferita per molte coppie provenienti dai paesi islamici e dalla Russia, a causa delle caratteristiche della sua legislazione e degli standard tecnologici raggiunti nelle tecniche di Pma. Tanto che qualcuno l’ha già definita la nuova “rivoluzione iraniana della Pma”. Qui infatti la tradizione consente una forma di matrimonio temporaneo tra un uomo sposato e una donna che può donare i suoi ovociti alla prima moglie. Non solo. Nel 2003 il parlamento iraniano ha ratificato la legge relativa alla donazione di embrioni per le donne sposate infertili (Embryo Donation to Infertile Spouses Act) che consente alle coppie sposate di donare i propri embrioni ad un’altra coppia sposata che abbia una documentata difficoltà di concepimento. Sebbene la legge non consenta espressamente la donazione di sperma e ovociti, inoltre, queste pratiche sono implicitamente ritenute ammissibili e, secondo Soraya Tremayne, direttore del Fertility and Reproduction Studies Group della Oxford University, è abbastanza verosimile la promulgazione in tempi brevi di una fatwa che consenta la donazione da parte di terzi estranei alla coppia.

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