Si chiama Fortunata. Un nome che non le è stato dato a caso vista la sua singolare storia con sfondo il Piauì, uno Stato del nord-est del Brasile. Fortunata è un cucciolo di uistitì (Callithrix jacchus), una scimmia di circa due mesi rimasta sola, senza genitori o adulti della sua specie che si prendessero cura di lei. Ma ci hanno pensato altri. E non esseri umani che l’hanno presa per sfamarla, crescerla e poi studiarne i comportamenti. Ma un gruppo di 13 cebi (Cebus libidinosus), piccole scimmie arboricole che vivono in alcune zone dell’America centrale e meridionale.Fortunata è rimasta con loro per più di un anno, ricevendo così le cure parentali necessarie alla sua sopravvivenza. A osservare il suo comportamento e quello dei genitori adottivi è stato un gruppo di ricercatori brasiliani e statunitensi e da Elisabetta Visalberghi dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione (Istc) del Consiglio nazionale delle ricerche. Che hanno pubblicato i risultati del loro lavoro sull’American Journal of Primatology. “Fortunata”, spiega la ricercatrice italiana, “è stata adottata prima da una femmina e poi, dopo quattro mesi, da un’altra. Le due femmine, ma talvolta anche altri membri del gruppo, hanno trasportato Fortunata sulla schiena, sul collo o sulla pancia, proprio come avrebbero fatto con un loro figlio, permettendole così di spostarsi insieme al gruppo anche quando i tragitti percorsi sarebbero stati troppo estremi persino per un uistitì adulto”. Ovviamente nel gruppo Fortunata non era l’unico piccolo. C’era infatti anche un cucciolo di cebo che più o meno aveva la stessa età dell’uistitì e che ha consentito ai ricercatori di confrontare le cure rivolte ai due piccoli e il loro sviluppo comportamentale. I dati raccolti parallelamente per il piccolo cebo e la piccola uistitì hanno evidenziato che le cure loro riservate erano pressoché simili. Un aspetto che ha in parte stupito i ricercatori viste le notevoli differenze fra le due specie: dimensioni, ecologia, comportamento, organizzazione sociale e sviluppo. “Spesso ci è capitato di osservare Fortunata sopra un’incudine dove un cebo adulto stava usando un sasso per rompere una noce di cocco”, prosegue la ricercatrice, “mentre lei aspettava con pazienza di prendere qualche pezzettino di noce, noi eravamo agitatissimi perché questa minuscola scimmia sembrava poter ricevere, da un momento all’altro, una gran botta in testa…”. Che fortunatamente non è mai arrivata.Non sono chiare, comunque, le motivazioni che hanno spinto i cebi ad adottare Fortunata. Secondo gli studiosi l’adozione è stata favorita dalle dimensioni dalla dimensioni dell’uistitì, circa dieci volte più piccola di un cebo. Questo ha facilitato il suo trasporto e ridotto la competizione alimentare. “Già il comportamento altruistico di adottare un piccolo non imparentato è difficile da spiegare dal punto di vista evolutivo perché non sembra favorire chi lo fa”, spiega Visalberghi: “Adottare un piccolo di un’altra specie può sembrare assurdo. Ma è anche vero che il comportamento materno si basa su attitudini, come la tolleranza e l’attrazione verso i cuccioli, che non è possibile limitare solo ai piccoli della propria specie”. Quello che invece è certo è la competenza che hanno mostrato i cebi nell’adattarsi alle esigenze del piccolo uistitì. “Il comportamento altruistico di queste scimmie può essere attribuito a diversi fattori che, data l’eccezionalità del caso, è impossibile indagare sistematicamente”, dice Visalberghi. Che conclude: “Questo caso di adozione è estremamente istruttivo perché mostra la flessibilità comportamentale di cebi e uistitì. Ciascuna specie si è in qualche modo adattata alle esigenze dell’altra. Dalle osservazioni risulta che Fortunata ha allungato di molto il periodo di dipendenza dalla madre, che in un gruppo di uistitì sarebbe stato di pochi mesi, e che i cebi hanno risposto con estrema tolleranza alla sua presenza, togliendola di impaccio ogniqualvolta rimaneva indietro, o era incapace ad arrampicarsi sulle rocce. Nel caso dei cebi la plasticità comportamentale è arrivata al punto di far loro adottare una scimmia che, in altre occasioni, arrivano anche a cacciare”.
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