Fra 200 anni il più grande animale al mondo potrebbe essere la mucca

via Pixabay

La migrazione dei nostri progenitori fuori dall’Africa nel tardo Pleistocene coincise con l’estinzione di alcuni animali e l’inizio di una drastica e continua riduzione globale delle dimensioni dei mammiferi, in atto ancora oggi. Questa tendenza potrebbe continuare al punto tale che, in appena duecento anni, il più grande mammifero terrestre sopravvissuto potrebbe essere il bovino domestico, la mucca, mentre le dimensioni dell’animale medio potrebbero essere quelle di un cane di piccola taglia, come uno Yorkshire terrier. E la colpa è nostra e dei nostri antenati. A lanciare l’allarme sulle pagine di Science è una nuova ricerca americana guidata da Felisa Smith dell’University of New Mexico negli Stati Uniti.

Fu nell’era cenozoica, iniziata circa 66 milioni di anni fa, dopo la scomparsa dei dinosauri, che si affermarono e si diffusero i mammiferi. Fino a poco più di centomila anni fa la terra era abitata da una straordinaria abbondanza di mammiferi di grandi dimensioni, come il bradipo gigante, la tigre dai denti a sciabola e il rinoceronte lanoso. Con la diffusione degli ominidi nel mondo, si assistette però alla progressiva scomparsa di gran parte dei mammiferi giganteschi. L’infinito dibattito sulle cause dell’estinzione della megafauna (animali di massa corporea superiore ai 40-45 chilogrammi) ha spesso chiamato in causa, accanto ai cambiamenti climatici, il contributo dell’uomo.

Smith e colleghi hanno cercato di capire se ci sia stata una correlazione tra la diffusione degli ominidi nei vari continenti, iniziata circa 125000 anni fa, e l’estinzione dei grandi mammiferi. Per farlo hanno utilizzato due enormi set di dati relativi alle dimensioni corporee, ricavate dai resti fossili dei mammiferi terrestri che abitavano i vari continenti nel Cenozoico (compreso tra 66 e 2, 6 milioni di anni fa) e nel tardo Quaternario (compreso tra 125000 e 11700 anni fa).

I ricercatori hanno suddiviso il Cenozoico in intervalli di tempo di un milione di anni ciascuno e  il tardo Quaternario in quattro intervalli di tempo: quello compreso tra 125000 e 70000 anni fa, in cui avvennero le prime ondate migratorie degli ominidi fuori dall’Africa, quello compreso tra 70000 e 20000 anni fa, con la colonizzazione di Eurasia e Australasia, quello compreso tra 20000 e 10000 anni fa, in cui avvenne la migrazione di Homo sapiens verso le Americhe e l’Olocene, l’epoca geologica in cui ci troviamo. In ciascun intervallo di tempo hanno poi valutato il rischio di estinzione dei mammiferi in base alle dimensioni e al livello trofico (erbivori, carnivori, onnivori, insettivori). Se si dovessero evidenziare – spiegano gli autori – differenze significative nella selettività di estinzione dei mammiferi nel tardo Quaternario e nel Cenozoico, questo suggerirebbe un ruolo degli ominidi.

Ed effettivamente le cose stanno proprio così. “Solo con l’arrivo degli ominidi le maggiori dimensioni corporee hanno reso i mammiferi più vulnerabili all’estinzione”, conferma Kathleen Lyons, coautrice dell’articolo. Nel tardo Quaternario, il rischio di estinzione dei mammiferi è strettamente legato alle loro dimensioni. I mammiferi di grossa taglia (e in particolare gli erbivori) sono quelli più a rischio, con una differenza di massa di due o tre ordini di grandezza tra i mammiferi estinti e quelli sopravvissuti.

Nell’era cenozoica invece non era mai accaduto che il rischio di estinzione fosse legato alle dimensioni. Neanche i cambiamenti climatici del Cenozoico hanno aumentato il rischio di estinzione per i mammiferi di grossa taglia (né per i mammiferi più piccoli) prima della diffusione degli ominidi. “Indipendentemente dalle dimensioni i mammiferi erano ugualmente vulnerabili ai cambiamenti di temperatura” – confermano gli autori.

Dunque le attività degli ominidi devono essere state la causa principale dell’estinzione dei mammiferi più grandi nel tardo Quaternario, a causa di una combinazione letale di minacce derivanti principalmente dalla caccia (ma anche dall’introduzione di predatori e dalla modifica degli habitat).  “Questo ha un senso”, continua Lyons. “Se uccidi un coniglio, puoi nutrire la tua famiglia per un giorno. Se uccidi un grande mammifero, puoi nutrire il tuo villaggio”.

Il team ha combinato le informazioni sui mammiferi con quelle relative alle migrazioni degli ominidi ed ha scoperto che, man mano che procedeva la dispersione degli ominidi nei vari continenti, si osservava parallelamente una diminuzione della massa corporea media e massima.

Circa 125000 anni fa prima della migrazione “Out of Africa”, l’Africa era abitata da mammiferi più piccoli del cinquanta per cento rispetto a quelli di Eurasia e America, dove gli ominidi non erano ancora arrivati. Molto probabilmente – sottolineano gli autori – ciò fu dovuto alle interazioni tra ominidi e mammiferi che in Africa erano già in corso, anche prima della comparsa di H. sapiens.

Nei centomila anni successivi, la massa corporea media diminuì drasticamente man mano che gli ominidi si diffondevano, prima della metà in Eurasia e poi di dieci volte in Australia, mentre rimase sostanzialmente invariata, e più alta che altrove, nelle Americhe fino alla fine del Pleistocene. Questo fino all’arrivo di Homo sapiens e allo sviluppo di armi da caccia a lungo raggio.  Fu proprio l’Homo sapiens a contribuire alla gravità dell’estinzione nel Nuovo Mondo alla fine del Pleistocene, con la scomparsa dell’11,5 % dei mammiferi nell’America del Nord e del 9,7% nell’America del Sud ed una diminuzione di dieci volte della massa media e di quella massima. Ad esempio, nell’America del Nord la massa media dei mammiferi terrestri è scesa da 98 a 7,6 chilogrammi e, se il trend attuale dovesse proseguire, diventerebbe pari a 4,9 chilogrammi in poche centinaia di anni.

Cosa accadrà nei prossimi duecento anni nell’ipotesi in cui si estinguano tutte le specie attualmente a rischio? A questa domanda hanno dato una risposta gli autori dello studio. In duecento anni si perderebbero tra il 22,4 e il 53,7% delle specie di mammiferi rispetto a 125000 anni fa. Scomparirebbero principalmente i mammiferi di grandi dimensioni, – continuano gli autori-  mentre si diffonderebbero i mammiferi di piccola taglia, in particolare i roditori, come meccanismo di compensazione per mantenere l’omeostasi degli ecosistemi. La massa corporea media dei mammiferi crollerebbe al valore di circa sei libbre (circa 2,7 chilogrammi), grosso modo la massa di uno Yorkshire terrier. E il più grande mammifero sulla terra sarebbe il bovino domestico del peso di circa 900 chilogrammi. Con la scomparsa, quindi, di elefanti, giraffe ed ippopotami.

La megafauna ha un’influenza notevole diretta e indiretta sugli ecosistemi, sulla struttura della vegetazione, sui cicli biogeochimici e sul clima. La scomparsa dei grandi mammiferi desta molta preoccupazione in quanto è associata ad una drastica alterazione degli ecosistemi con un effetto a cascata sugli altri organismi e sta rimodellando la biosfera terrestre. “Gli ecosistemi saranno molto diversi in futuro: l’ultima volta che i mammiferi ebbero una massa media così piccola fu dopo l’estinzione dei dinosauri”, continua Lyons. “Stiamo cancellando in un brevissimo periodo di tempo 40-45 milioni di anni di evoluzione dei mammiferi”.

Riferimenti: Science

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