Gaia, una metafora che prende corpo

L’ultimo libro di Tyler Volk (Il corpo di Gaia, Utet Libreria, Torino, 2001, lire 35.000) è annunciato come un esempio di nuovo paradigma di ricerca per la teoria di Gaia elaborata da James Lovelock negli anni Settanta. Sfruttando le sue doti di narratore, in questo libro lo scienziato americano prende le distanze dai punti più controversi della teoria del maestro (teleologismo, causazione verso l’alto, nozione di superorganismo) e propone uno studio del nostro pianeta (inteso come ‘intero’) scientificamente accurato e pieno di dati sperimentali. Per Volk l’importante non è riconoscere un “organismo Gaia”, ma comprenderne il “metabolismo” globale. Gaia, la Terra, è un sistema di parti e processi interdipendenti costituito da esseri viventi, suolo, atmosfera e oceano. “Gaia è Gaia”, ovvero un livello più ampio dei suoi componenti, non si comporta quindi né come un organismo, né come una roccia, semplicemente obbedisce a logiche differenti da quelle dei suoi componenti. Tuttavia non può prescindere da essi. La forma del pianeta pone le condizioni per la vita, ma è la vita stessa che determina alcuni grandi livelli di organizzazione, aprendo e controllando le “porte” attraverso cui hanno luogo gli scambi energetici e di materia globali. Per saperne di più Galileo ha incontrato il traduttore italiano del volume e uno dei suoi curatori, il biologo Giuseppe Barbiero.

Professor Berniero, quali sono le novità di questo libro rispetto all’ipotesi di Gaia proposta da Lovelock?

“Gaia è stata un’ipotesi generatrice di altre ipotesi, una serie di concetti euristici che ha portato a un grande numero di studi sperimentali. Volk ha lavorato su alcuni criteri di ricerca che costituiscono una sorta di paradigma per gli studi futuri su Gaia. Gli aspetti scientifici più rilevanti raccontati in questo libro di divulgazione sono sicuramente lo studio avanzato delle ‘matrici’ di Gaia (comunità biotiche, oceani, aria e suolo), il concetto di ‘tasso di ricircolo’ e la definizione delle ‘gilde biochimiche’. Gli oceani, l’atmosfera e il suolo sembrano gli organi del pianeta Terra, i luoghi dove grazie agli esseri viventi si svolgono determinate funzioni importantissime, in particolare il ciclo del carbonio e quello dell’azoto. Il tasso di ricircolo è uno strumento che consente di valutare nei cicli il flusso di materia in entrata e in uscita. Le gilde biochimiche infine sono una nuova classificazione delle specie non più basata sul patrimonio genetico, come quella tradizionale, ma su criteri funzionali. Se gli organismi hanno una stessa funzione, per esempio i batteri e le piante, che producono ossigeno, allora sono classificati insieme, nonostante siano diversissimi sotto tutti gli altri aspetti”.

L’ipotesi scientifica alla base del libro è immaginare un pianeta con la vita (sottoposto a analisi sperimentale) e uno senza vita (elemento di controllo). Un pianeta con vita, quale la Terra, è per questo fatto stesso ‘vivo’?

“No, il libro di Volk prende le distanze dall’idea di Lovelock che vede il pianeta come un superorganismo che si autoregola. Gaia non è un organismo: è un’entità unica che non si evolve in senso darwiniano. È un sistema fortemente a senso unico rispetto all’esterno, non cede cioè materia o energia per esempio al Sole, cosa che tutti gli organismi fanno tra di loro. In definitiva, Gaia è una metafora che descrive il nostro pianeta come un sistema costituito da parti (esseri viventi, suolo, atmosfera e oceano) che interagiscono tra loro. L’importante è studiare il suo funzionamento complessivo, riconoscendone l’unicità e l’integrazione”.

Perché nel libro il sole viene chiamato Elio, la terra Gaia e il nucleo terrestre Vulcano? Non c’è il rischio di un certo misticismo nella teoria di Gaia?

“Certamente sì, ma è un rischio calcolato. Da una parte riguarda il ruolo delle metafore nella ricerca scientifica. Le metafore hanno un valore euristico e divulgativo enorme, ma vanno prese come tali. Richard Dawkins quando scrisse il libro Il gene egoista non intendeva certo attribuire caratteri umani ai nostri geni, quella metafora riassumeva una teoria, ma non era la teoria. Anche Gaia quindi è una metafora semplice, comprensibile da parte di tutti, che suggerisce di guardare al nostro pianeta come un tutto e di studiarlo come tale. L’altro aspetto importante della teoria riguarda la bellezza del nostro pianeta. L’ipotesi di Gaia sicuramente risente di questo fascino, l’ammirazione che proviamo di fronte alla complessità del pianeta vivente è qualcosa che ha a che fare con la sensibilità degli scienziati e delle persone coinvolte. Non credo che questa sia una cosa negativa. In ogni caso, bisogna separare il valore scientifico di una teoria dai suoi aspetti divulgativi. Nel caso di Gaia questi aspetti hanno anche portato ad una sottovalutazione della teoria stessa. Ultimamente però, in parte grazie a libri come questo di Volk, ma soprattutto grazie alle ricerche pubblicate sulle riviste scientifiche da parte di molti scienziati “gaiani”, la teoria può essere valutata per quello che è: un’ipotesi da valutare, sostenuta da dati sperimentali”.

A che livello l’ipotesi Gaia si traduce in un’attività di ricerca scientifica nel nostro paese?

“Purtroppo l’impatto della ricerca gaiana in Italia è ancora scarso. Più che altro ci sono associazioni e convegni a livello divulgativo. Certamente una parte dell’ambiente accademico guarda ancora con sospetto gli studiosi che parlano di Gaia. L’aspetto più importante però è che il livello stesso dello studio di Gaia è troppo impegnativo per le capacità scientifiche del nostro paese. Di fatto, quasi tutti gli scienziati che studiano la geofisiologia del nostro pianeta lavorano in istituti americani, la Nasa su tutti, che possono permettersi di raccogliere ed elaborare la mole impressionante di dati che riguardano entità complesse come gli oceani o l’atmosfera”.

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