Geni nostrani

Francesco Paolo de Ceglia
Scienziati di Puglia. Secoli V a.C.-XXI d.C.
Adda Editore 2007, pp. 700, euro 50,00

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Vitale Giordano era, nella Puglia del Seicento, uno spiantato come pochi. Dedito alla caccia, alla pesca e alla frequentazione di allegre brigate, non voleva diventare prete, come invece avevano deciso per lui i ben più morigerati genitori. Una brutta storia, la sua. Scappato di casa, uccise in una zuffa il fratello della bella giovane che aveva nel frattempo preso in moglie. Un incidente, si commentò, ma era meglio fuggire. Alcuni anni di viaggi sulle navi del Papa Re gli offrirono in dono solo una condanna a morte, per fortuna non eseguita. Incaricato dell’amministrazione di una nave, si rese conto che, per procedere, gli mancava qualcosa… non conosceva, infatti, le quattro operazioni. Di lì lo studio e la passione per la matematica, che lo avrebbero portato nel giro di alcuni decenni a essere, docente alla Sapienza, uno dei geometri più in vista d’Europa.

Quella di Giordano è una delle oltre 400 vite raccontate, con precisione storica e piglio narrativo, in “Scienziati di Puglia”, una ponderosa opera collettanea che raccoglie le biografie intellettuali delle principali personalità che, nelle varie epoche storiche, hanno coltivato nella regione lo studio delle scienze. Tra loro, nomi celebri, come Giorgio Baglivi, a dire il vero leccese solo d’adozione, celebre medico del Seicento, che si occupò, tra le tante cose, di tarantismo, tema tipico della cultura scientifico-antropologica pugliese; Ennio De Giorgi, uno dei matematici italiani più lucidi del secolo appena trascorso; Nicola Pende, padre della endocrinologia italiana e primo dei firmatari del “Manifesto degli scienziati fascisti”… oppure no. Tra conferme e sorprese, i documenti addotti dagli autori dimostrerebbero che il nome di Pende fu apposto sul Manifesto senza il suo consenso. La vicenda è però controversa.

Una storia della scienza vista da una prospettiva inconsuetamente né sabauda né romana: è questo ciò che ha voluto dipingere la task force (una quarantina di collaboratori del Seminario di Storia della Scienza, diretto a Bari da Mauro Di Giandomenico) coordinata dal giovane Francesco Paolo de Ceglia. Il libro fa conoscere personaggi, istituzioni, vicende, spesso ricostruite con l’ausilio di fonti orali, le quali, se non fossero state tempestivamente raccolte da qualcuno, sarebbero presto andate smarrite. L’opera è ricca di box e approfondimenti trasversali, che fluidificano il testo, facendolo diventare, da una storia degli scienziati pugliesi, una storia della scienza pugliese.

Una domanda non è eludibile: c’è mai stata una scienza pugliese? Si è mai sviluppata, in altri termini, una ricerca con caratteristiche proprie, tali da renderla differente da quella di altre realtà regionali? Si tratta di un interrogativo cui, di primo acchito, non è facile rispondere, tanto più se riferito all’intero percorso scientifico della Puglia, il quale abbraccia un caleidoscopio di esperienze che si sviluppa dalle riflessioni dei pensatori magnogreci del V secolo a.C. ai risultati hi- tech dei centri di ricerca del XXI.

Si può affermare che, nelle varie epoche storiche, ci siano state tante identità pugliesi: una magnogreca, una mediterranea, ossia arabo-ebraico-bizantina, un’altra napoletana, infine una italiana, sì, ma, almeno subito dopo l’Unità, non troppo entusiasta dell’appartenenza al nuovo stato nazionale. Erano gli anni del brigantaggio, quelli… e di scienziati che emigravano per studiare e “far carriera” altrove. Il vero cambiamento è avvenuto solo nel 1925, all’atto della fondazione dell’Università di Bari, tanto voluta da quel Nicola Pende, il cui nome fa ancora aggrottare le sopracciglia a molti.

La storia della scienza, nella postfazione di Liborio Dibattista, viene considerata fondamentale nella didattica delle discipline scientifiche come pure di quelle umanistiche. Colmerebbe il gap da quelle che qualcuno, tempo fa, avrebbe chiamato “le due culture”. È il nuovo umanesimo che da tanto si predica e purtroppo poco si attua.

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