Gli attivisti di Greenpeace ancora in Russia

L’home page di Greenpeace segna 56, per la precisione Giorno 56. Tanti infatti sono i giorni passati dall’8 settembre, quando i trenta attivisti dell’organizzazione ambientalista a bordo dell’Arctic Sunrise sono stati fermati dalla Guardia costiera russa. Lì gli attivisti di Greenpeace si trovavano per protestare contro le trivellazioni in Artico, precisamente alla piattaforma petrolifera Prirazlomnaya della Gazprom. Arrestati prima due degli attivisti (per aver tentato di scalare la piattaforma), alla fine tutto il team degli Arctic 30 (tra cui due giornalisti freelance) è stato fermato (qui un video dell’abbordaggio delle forze russe all’Arctic Sunrise). Tra loro anche un italiano, il trentunenne napoletano Cristian D’Alessandro, laureato in biotecnologie mediche e nell’equipaggio delle navi di Greenpeace da due anni. 

Le ragioni dell’organizzazione sono chiare: bloccare i tentativi di estrazione petrolifera, e i rischi ambientali derivanti da un possibile incidente, nei ghiacci dell’Artico, dove la Prirazlomnaya è diventata la prima piattaforma permanente in grado di operare. “I coraggiosi attivisti dell’Arctic Sunrise hanno protestato contro la piattaforma della Gazprom per attirare l’attenzione sulla lenta ma inesorabile distruzione dell’Artico”, aveva detto il direttore di Greenpeace International, Kumi Naidoo dopo dei fermi, “il ghiaccio si sta sciogliendo e le compagnie petrolifere si spostano a nord per estrarre quei combustibili fossili che contribuiscono alla fusione dei ghiacci”.

Se chiaro è lo scopo di Greenpeace, come organizzazione ambientalista, meno lo è stato il comportamento delle autorità russe. Se infatti in un primo momento per le accuse rivolte agli attivisti di Greenpeace si era parlato di pirateria (anche per Cristian D’Alessandro) – reato per i quali si rischia fino a 15 anni di carcere – dopo quattro settimane l’accusa è stata revocata. Le autorità russe infatti hanno riconsiderato la questione muovendo l’accusa di teppismo, che in Russia e punibile con detenzione fino a 7 anni (incriminazione formalizzata anche all’italiano Cristian D’Alessandro). Assurdo per una protesta pacifica, ribadiscono da Greenpeace.


Nel frattempo, in tutto il mondo, numerosissime sono state le richieste rivolte alle autorità russe per chiedere la liberazione degli attivisti ( #freethearctic30), trasferiti da poco da Murmansk a San Pietroburgo. Ci sono state proteste di fronte alle ambasciate, petizioni online, telefonate ed email rivolte alle stesse ambasciate, attività di sensibilizzazione in centinaia di città, l’appello di 11 premi Nobel a Putin e da ultimo le richieste dell’Olanda (l’Arctic Sunrise batte bandiera olandese) al Tribunale Internazionale per il Diritto Marittimo (Itlos) e l’appello del padre di Cristian.

Scrive Aristide D’Alessandro, rivolto ai 18 paesi coinvolti (18 sono le nazionalità degli Arctic 30): “Io chiedo che i 18 governi interessati si assumano la responsabilità di dichiarare pubblicamente se l’operato della Russia è legittimo o illegittimo. Se viene ritenuto legittimo, è giusto attendere gli sviluppi processuali, ma dovranno anche dichiarare che qualunque paese può, liberamente, invadere con le armi un altro paese, senza che alcuno possa interferire. Se, invece, viene ritenuto illegittimo, i governanti dovranno imporre alla Russia un comportamento che faccia rientrare i diritti nell’alveo naturale delle cose”. E ancora, continua D’Alessandro: “Eminenti esperti del diritto hanno dichiarato che la Russia non poteva sequestrare la nave Arctic Sunrise in acque internazionali ed hanno confermato che non potevano abbordare, armi in pugno, la nave, in quanto territorio olandese. Conseguentemente anche gli arresti erano illegittimi. È stato, altresì affermato che la detenzione e le condizioni della stessa violano i diritti umani. L’arresto è stato notificato ben oltre le 48 ore dal fermo ed è, pertanto, illegale per la stessa legge russa… Questi 30 ragazzi, innocenti, pacifisti fin nel midollo, votati all’opera di costruire un mondo migliore e più sicuro nell’interesse di tutti, patiscono ingiustamente per fini incomprensibili, o tristemente comprensibili. Hanno già dato il loro contributo di sofferenza. Ora basta! Si faccia qualcosa di veramente efficace per riportarli a casa”.  

Via: Wired.it

Credits immagine: Greenpeace

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