Guarire di Aids

Mahlon Johnson è un neuropatologo del centro medico della Vanderbilt University, a Nashville, nel Tennessee. Durante un’autopsia al cervello di una vittima dell’Aids si taglia inavvertitamente con il bisturi e contrae il virus Hiv. Da medico si trasforma così in paziente, ma un paziente del tutto particolare che, grazie alla sua competenza immunologica, diventa cavia di se stesso.

Come Louis Pasteur, Johnson decide di sperimentare su di se un violento regime di cura che prevede la combinazione di vari tipi di farmaci.

Quando comincia la terapia, nel ‘94, il cocktail di farmaci, costituito da antivirali e inibitori della proteasi, di cui in questi ultimi mesi tanto si è parlato, era riconosciuto soltanto da pochi esperti come la via emergente, e più efficace delle terapie in uso, contro il virus dell’Aids. Oggi nel sangue di Mahlon Johnson non ci sono più tracce di virus rivelabili dagli attuali test. Il dottor Johnson racconta la sua battaglia personale nel libro “Working on a Miracle”, titolo forse più significativo e meno pretenzioso della recente versione italiana “Sono guarito. La storia del primo uomo che ha vinto l’Aids”, edito da Mondadori. Galileo ha incontrato il dottor Johnson a Roma.

Dottor Johnson, come e quando ha deciso di autocurarsi?

“Precisiamo, io sono un medico, ma non un esperto di Hiv. Conosco bene le sue caratteristiche e, al momento del contagio, sapevo di rischiare con un cadavere altamente infettante. Ma è come paziente che lo sto combattendo. Appena avuta la diagnosi, ho cominciato subito a leggere tutta la letteratura scientifica a disposizione. Ero convinto che per poter sopravvivere dovevo puntare sulle nuove idee. Nel ‘92, quando contrassi il virus esisteva soltanto l’Azt. Un anno dopo arrivarono anche il Ddi e il Ddc. Ma questi erano solo in grado di rallentare la crescita del virus che, con il tempo, mutava e sviluppava resistenza ai farmaci. Mi affidai allora a chi sosteneva l’ipotesi, allora pioneristica, di usare i farmaci in associazione. E osì, nella mia terapia, all’Azt si aggiunsero, man mano che venivano messi a punto, il 3tc e gli inibitori della proteasi. E prima ancora arrivò l’interleuchina 2 (IL 2)”.

Perché l’Interleuchina 2, una sostanza utilizzata nelle immunoterapie anticancro?

“I National Institutes of Health di Bethesda hanno provato che l’IL 2 aiuta a mantenere attivo il sistema immunitario e aumenta i linfociti T, che nel mio sangue si erano notevolmente abbassati e, pare, servirebbe anche a eliminare, almeno in parte, il virus. Fatto sta che l’Interleuchina, assieme alle altre medicine, ha ripulito il mio sangue dal virus (meno di 10 unità di ceppi virali in un millimetro) e accresciuti i miei linfociti T fino a 1269, contro i 320 a cui ero sceso nel ‘94, una soglia vicina alla diagnosi di Aids”.

Attaccato su più fronti e a più livelli dell’aggressione cellulare, come avviene con il cocktail di farmaci, il virus sembra sparire, o per lo meno ridursi, nel sangue dei sieropositivi. E’ una speranza di guarigione?

“Parlare di guarigione è prematuro. Gli esperti oggi sperano in una cronicizzazione dell’infezione. Ma Hiv cronico significa farmaci per tutta la vita, sempre che non ci siano effetti tossici tali da indurre alla sospensione della cura. Due studiosi illustri come Luc Montagnier e David Ho sostengono che i soggetti più fortunati, quelli che iniziano la terapia dopo qualche settimana dal contagio, hanno la possibilità teorica di riuscire a eliminare il virus, magari nel giro di 2-3 anni di cura. La situazione è diversa per coloro che presentano uno stadio avanzato di infezione: per loro la speranza di un’eradicazione è difficile, se non impossibile. Ma l’idea di sradicare il virus è meno importante della possibilità di sopravvivere garantita dalle nuove medicine. Chissà, magari anche l’Hiv diventerà come il virus della varicella, sempre presente nel nostro organismo, ma silente. Se è anche nascosto in qualche mia ghiandola non importa, basta che mi permetta di condurre una vita normale. Questo vale per me come per gli altri. Nessuno può ancora dire però se ci saranno delle ricadute, o se la terapia provochi, a lungo termine, effetti collaterali più gravi del male stesso”.

Comunque sia, la diagnosi di sieropositività viene sempre meno considerata una condanna a morte. Ma solo i più ricchi possono permettersi queste terapie costosissime…

“I farmaci sono ancora in fase sperimentale e le case farmaceutiche sono costrette a mantenere prezzi irraggiungibili in molti casi. Tuttavia, la terapia è talmente complessa che è destinata a costare molto anche in futuro. Se di nuova via contro l’Aids si sta parlando, questo è vero soltanto per Stati Uniti ed Europa, ma non per i milioni di sieropositivi africani: il costo mensile della cura supera il loro reddito annuo pro-capite. La guerra ancora non è vinta”.

1 commento

  1. Volevo sapere x chi è infettato da questa malattia, e la ha da poi di 15 anni può essere dichiarato non proprio una persona dalla vita normale ma di una vita serena. Nn essendo allo stato grave?

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