Guariti prima di nascere

La medicina perinatale fa registrare due significativi risultati: la messa a punto di una tecnica per la somministrazione in utero del surfattante (impiegato per prevenire la sindrome da distress respiratorio neonatale) e la scoperta di due marcatori – l’adrenomedullina e la S100B – che sembrano avere un ruolo fondamentale nella prevenzione di patologie neonatali. Le nuove metodologie cliniche sono state presentate dagli autori nell’ambito di un workshop internazionale promosso dalla Scuola di Scienze Mediche del Centro di cultura scientifica “Ettore Majorana” di Erice.

Il surfattante è una sostanza tensioattiva che riveste gli alveoli polmonari, consentendone la dilatazione. Nei neonati prematuri la sua presenza è molto scarsa perché l’organismo non è riuscito a sintetizzarlo a sufficienza. Oggi, in tutto il mondo, la somministrazione avviene subito dopo la nascita, mediante una tecnica invasiva: il neonato deve essere necessariamente intubato. Ora invece Ermelando Vinicio Cosmi, direttore del secondo Istituto di ginecologia e ostetricia dell’Università “La Sapienza” di Roma, ha sperimentato l’impiego del surfattante durante la vita fetale, all’interno dell’utero, con il doppio vantaggio di ottenere una terapia immediata e, nello stesso tempo, non invasiva per il nascituro. “La nuova tecnica”, dice Cosmi, “è già stata introdotta con successo nella pratica clinica: siamo riusciti, ottenendo buoni risultati, a iniettare la sostanza nella cavità amniotica”. L’applicazione è particolarmente indicata quando il feto corre gravi pericoli di vita o è imminente il parto. A confermare con certezza il deficit di surfattante è l’amniocentesi. La sostanza viene iniettata nel liquido amniotico – dietro guida ecografica – utilizzando l’ago impiegato per la stessa amniocentesi. I ricercatori dell’ateneo romano hanno appurato che l’efficacia del surfattante aumenta se l’ago raggiunge l’area in prossimità della bocca e delle narici nasali del feto. Nel caso in cui il feto non abbia alcun movimento respiratorio spontaneo, si somministra, contemporaneamente, alla madre, per via endovenosa, l’aminofillina (sale solubile della teofillina), che funge da rilassante della muscolatura liscia.

“Secondo recenti studi statistici, l’incidenza della sindrome di distress respiratorio neonatale varia dallo 0,3 per cento dei nati vivi nei paesi scandinavi, allo 0,8 per cento in Svizzera e fino all’1 per cento negli Stati Uniti. Tra le cause che possono concorrere all’insorgenza della grave patologia” aggiunge ancora Cosmi, “in primo luogo c’è il periodo gestazionale: andiamo dal 30 per cento dei casi che si registrano per i nati prima della trentesima settimana, allo 0,01 per cento nei nati a termine”. Ma non mancano le influenze di natura ormonale: non è un caso se a essere maggiormente colpiti sono i neonati maschi. Secondo Cosmi, la nuova tecnica potrebbe trovare impiego anche per la terapia di altre gravi patologie neonatali, “a cominciare dalla prevenzione endouterina della sindrome della morte improvvisa del neonato”.

La collaborazione fra i laboratori di Medicina perinatale e Biologia molecolare del secondo Istituto di ginecologia e ostetricia de “La Sapienza” di Roma, il dipartimento di pediatria dell’Istituto “Giannina Gaslini” dell’Università di Genova e l’Istituto di Anatomia umana dell’Università Cattolica di Roma, ha portato, inoltre, all’individuazione di due marcatori utili per prevenire danni cerebrali e emorragia nei neonati. A fornire indicazioni importanti sullo stato di funzionalità neurologica è la proteina S100B, conosciuta sin dal 1965, ma mai impiegata in medicina perinatale. “La proteina”, spiega il dottor Diego Gazzolo del Gaslini, “è dosabile attraverso un semplicissimo esame delle urine: lo studio clinico ha già interessato, con buoni risultati, un centinaio di neonati prematuri. Il marcatore fornisce utili informazioni sulle patologie neurologiche derivanti da un insufficiente afflusso di ossigeno a livello cerebrale”. L’altro marcatore è la adrenomedullina, una proteina ad azione ipotensiva coinvolta nei meccanismi emodinamici del feto e del neonato. Il suo dosaggio viene eseguito utilizzando un kit immunoradiometrico a carico del cordone fetale e nel sangue del neonato. “Un aumento di concentrazione ematica di questa specifica proteina, nelle prime sei ore di vita”, spiega Gazzolo, “indica un altissimo rischio di emorragia cerebrale”.

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