Categorie: Salute

H5N1: salvi per uno starnuto

Il virus dell’aviaria sembra non aver ancora imparato tutti i trucchi del mestiere. Per nostra grande fortuna. A differenza dei comuni virus influenzali che attaccano ogni anno gli esseri umani, il famigerato H5N1 non ha infatti appreso la tecnica di base che consente di diffondersi di soggetto in soggetto rapidissimamente e in tutto il globo. Non può cioè sfruttare i banali veicoli che lo stesso essere umano mette a disposizione per la trasmissione: lo starnuto e la tosse. Sarebbe proprio questa la ragione che ha limitato, almeno per ora, a pochissimi casi in tutto il mondo la diffusione del micidiale virus, evitando così la temutissima pandemia. A questa conclusione sono giunti due studi indipendenti ora pubblicati su Science e Nature, firmati rispettivamente dal gruppo dell’Erasmus Medical Center di Rotterdam (Olanda), guidato da Thijs Kuiken, e da quello dell’Università of Wisconsin, guidato da Yoshiro Kawaoka. La difficile trasmissibilità del virus da un essere umano all’altro sarebbe imputabile alla localizzazione delle cellule umane su cui l’H5N1 agisce. Si tratta della zona più profonda dell’apparato respiratorio, chiamata epitelio alveolare. Proprio qui sono esser stati individuati i recettori cellulari del virus. I tipi cellulari che lo accolgono appartengono al rivestimento degli alveoli e dei bronchi e l’H5N1, pur replicandosi bene nella zona polmonare, non sembra in grado, almeno finora, di risalire il tratto respiratorio. Se lo sapesse fare, potrebbe legarsi ai recettori di cellule delle vie aeree superiori, infettarle e trasmettersi di persona in persona in pochissimo tempo sfruttando tosse e starnuti come veicolo di infezione. È proprio questo che accade con i comuni virus influenzali che periodicamente costringono a letto milioni di persone nel mondo, con una diffusione rapida e uniforme. I due studi giungono in un momento quanto mai appropriato. L’H5N1 è infatti ormai diventato endemico in Asia e si sta minacciosamente affacciando in Europa e Africa. Finora si è reso responsabile della morte di 98 delle 177 persone che ha infettato. Ma gli esperti paventano una mutazione del virus che lo renderebbe fortemente contagioso anche fra esseri umani. Oltre ai pochi dati disponibili (fortunatamente) sugli esseri umani, i risultati sono stati ottenuti a partire dall’analisi di gatti, topi, macachi o furetti, già colpiti dalla malattia. Secondo gli scienziati i risultati sugli animali, specialmente quelli su gatti e furetti, sono in accordo con quelli riscontrati sugli umani.

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