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Hartley 2: la cometa fatta di acqua di mare

Hartley 2 non è una cometa come le altre: il ghiaccio di cui è composta ha la stessa firma chimica dei mari che bagnano gran parte della superficie terrestre. In altre parole, potrebbe essere la prova che anche le comete hanno giocato un ruolo fondamentale nel trasformare la Terra da un pianeta roccioso e secco a un luogo umido e fertile. Una scoperta che si è meritata le pagine di Nature, e che ha stupito per primi gli astronomi dell’Università del Michigan (Usa), autori di uno studio.

Quello della formazione degli oceani è sempre stato un mistero. Quando è nata, infatti, la Terra aveva una temperatura troppo elevata per permettere l’esistenza di acqua liquida e ci vollero quasi 8 milioni di anni prima che gli oceani facessero la loro comparsa. Ma da dove viene l’acqua dei mari? Fino a oggi, la risposta era una sola: i meteoriti, la cui acqua possiede la stessa composizione chimica dei nostri oceani. Quando parliamo di composizione, stiamo considerando la presenza di atomi di idrogeno (H) e una loro versione più pesante chiamata deuterio (H). Il rapporto tra i due (D/H) è come un’impronta digitale dell’acqua e, dal momento che il deuterio è piuttosto stabile, può rimanere inalterato per moltissimi anni.

Nell’acqua di tutte le comete studiate a partire dagli anni ’80, i ricercatori avevano sempre rilevato un rapporto D/H molto diverso da quello degli oceani (circa il doppio); per questo motivo questi corpi celesti erano stati esclusi dalla lista. Ma le comete analizzate appartenevano esclusivamente alla cosiddetta Nube di Oort, un ammasso di oggetti distante dai 0,3 agli 1,5 anni luce dal Sole. Hartley 2, invece, viene dalla fascia di Kuiper, regione del Sistema Solare ricca di asteroidi che si estende dall’orbita di Nettuno per circa trenta miliardi di chilometri. E dai dati raccolti con il telescopio spaziale Herschel, i ricercatori hanno appunto scoperto che questa cometa, unica tra tutte, aveva la stessa acqua degli oceani. “ Gli oceani sono un serbatoio di materia ricchissimo ed eterogeneo, che può contenere anche tracce di comete che fino ad oggi ingnoravamo”, ha spiegato Ted Bergin, uno degli autori dello studio, alla Bbc.

Ma Hartley 2, questa settimana, è al centro dei riflettori anche per un altro motivo. La cometa è da sempre famosa per la sua strana figura, formata da due corpi sferici collegati. Assomiglia a un cetriolo sott’aceto, tutta bitorzoluta. O di un’arachide. Anzi, meglio, di un birillo, visto che una parte è più grande dell’altra. Sino a oggi, nessuno scienziato aveva saputo spiegarne la genesi. Ma ora, grazie alle osservazioni dei ricercatori dell’ Università del Maryland, il mistero sembra risolto: se a guardare questo corpo celeste sembrerebbe quasi che le due parti siano state attaccate insieme solo in un secondo momento dalla loro formazione, è perché in effetti probabilmente è proprio così.

Seppure questa conclusione, presentata a un meeting congiunto dell’ American Astronomical Society Divisioon for Planet Sciences e dell’ European Planetary Science Congress e raccontata da Scientific American, possa sembrare a un non esperto quasi immediata, i ricercatori sanno che una configurazione di questo tipo è tutt’altro che comune. Più unica che rara, si direbbe.

I dati analizzati dagli scienziati sono stati ricavati dalle rilevazioni della missione Nasa Deep Impact/Epoxi, che ha sfiorato la cometa nel novembre 2010 mentre essa si trovava quasi nel punto più vicino al Sole che raggiunge nella sua orbita. In questo volo radente, la sonda Epoxi ha fotografato la scia dei vapori rilasciati dall’estremità più piccola di Hartley 2 (la punta del birillo), sulla cui superficie acqua e diossido di carbonio sono sublimati per via del calore della nostra stella.

Ma quando gli scienziati, otto ore e mezza dopo le prime immagini, sono andati a misurare di nuovo le emissioni della cometa, si sono accorti che queste erano sparite: “ La cometa stava volgendo al Sole la sua estremità più grande, che non emetteva né acqua né diossido di carbonio”, ha detto Lori Feaga dell’Università del Maryland, che ha lavorato alla ricerca. “È così che abbiamo capito che la composizione del lobo più grande era diversa da quella del lobo più piccolo e che il nucleo della cometa era eterogeneo: il gas proveniva solo da una parte e non dall’altra”.

La spiegazione dei ricercatori è che i due corpi che costituiscono Hartley 2 si siano sviluppati indipendentemente e che solo successivamente si siano uniti insieme. “È all’incirca quello che succede nelle stelle binarie a contatto, i sistemi stellari in cui i due corpi celesti sono talmente vicini che condividono lo stesso materiale cosmico, e talvolta, lentamente, finiscono per fondersi insieme”, ha spiegato Michael A’Hearn, che conduce la missione. Un’unione perfettamente possibile dunque, i cui dettagli però non sono per niente semplici.

Ma qual è il dubbio dei ricercatori? Il fatto è che la cometa arriva dalla cosiddetta fascia di Kuiper, che è estremamente omogenea. “ È un vero enigma come da lì si siano generati, e addirittura uniti insieme, sia oggetti che contengono tanti elementi volatili sia altri che ne contengono molti meno” ha commentato Paul Weissman, ricercatore al NASA Jet Propulsion Laboratory a Pasadena in California.

E non è nemmeno l’unico rompicapo che riguarda Hartley 2. L’altro è la sua stessa composizione che sembra essere povera di monossido di carbonio. Troppo povera: la più bassa mai misurata in una cometa.

L’unica spiegazione che i ricercatori sono riusciti a darsi è che il corpo celeste abbia potuto perdere questo elemento, molto volatile, a causa dei suoi frequenti passaggi vicino al Sole (che avvengono ogni 6,4 anni).  

Ma l’interpretazione proprio non regge: perché allora gli altri elementi volatili – di cui abbiamo parlato finora – non si sarebbero esauriti? E perché altre comete, le cui orbite sono stabili intorno al Sole da molto più tempo, non hanno perso il loro monossido di carbonio?

La sola risposta possibile è che Hartley 2 sia semplicemente nata in una zona priva di questo elemento, o magari in cui la temperatura è troppo alta perché questo si solidifichi in ghiaccio. Peccato che gli scienziati non abbiano idea dove nel Sistema Solare si possa trovare questa regione.

L’ipotesi più accreditata è che tutte queste strane attività di emissione della cometa rispecchino condizioni che erano presenti nell’universo miliardi di anni fa. A quanto pare gli astrofisici hanno ancora molto da imparare da Hartley 2.

Via: Wired.it

Credits immagine: NASA/JPL-Caltech

Laura Berardi

Dopo essersi laureata in fisica presso Sapienza Università di Roma con una tesi in Meccanica quantistica, ha deciso di dedicarsi alla comunicazione scientifica: ha frequentato il Master SGP e si è diplomata nel 2011 con una dissertazione su scienza e mass media, nello specifico sul tema della procreazione medicalmente assistita. Oggi è redattrice scientifica a Quotidiano Sanità, collabora con Galileo e Sapere e scrive per Wired.

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