Hiv, la prevenzione è quotidiana

“Io me ne occupo… e tu?”. E’ questo lo slogan scelto dall’Unaids per la Giornata mondiale contro l’Aids 2001 che si svolgerà il 1° dicembre. A vent’anni dall’identificazione del primo caso di Sindrome da Immunodeficienza Acquisita, l’Hiv ha infettato più di 36 milioni di persone e ne ha uccise più di venti milioni. Cifre da pandemia che, nella vita di ogni giorno, molti dimenticano, esponendosi così al rischio di contagio. Di Aids e prevenzione Galileo ha parlato con Bruno Vegro, presidente della Lila, la Lega italiana per la lotta contro l’Aids.

Secondo un recente rapporto Unaids – Oms nel 2001 il numero di infetti in Europa orientale sta crescendo più velocemente che in qualsiasi parte del mondo. E le ultime stime mostrano che solo quest’anno ci sono stati 250.000 nuovi casi di infezione. Perché?

“Non devono sorprendere questi dati: in Russia e nei Balcani, per esempio, non esiste nessuna forma di prevenzione. E’ veramente difficile trovare siringhe monouso e preservativi, il virus così si sta diffondendo soprattutto tra i tossicodipendenti e tra le persone socialmente emarginate. Se poi consideriamo i dati relativi all’Asia vediamo che è lì l’area della nuova emergenza: 5,8 milioni di persone oggi hanno l’Hiv e il virus si sta diffondendo velocemente anche in Cina e in India. Fino alla caduta del muro di Berlino, questi paesi non ammettevano nemmeno l’esistenza della malattia. Solo recentemente alcuni paesi l’ hanno riconosciuta, anche se continuano a sottostimare le cifre”.

I fondi stanziati per combattere la diffusione dell’Aids sono adeguati?

“Naturalmente no. Oggi esiste in Europa un fondo di 400 milioni di Euro indirizzati alla lotta all’Aids, alla tubercolosi e alla malaria. Ma per quanto riguarda l’Hiv il problema è soprattutto la prevenzione. Dal virus non si guarisce. Si può però evitare che si diffonda il contagio e tutelare lo stato di salute delle persone infette. E’ questo il principale problema dei paesi in via di sviluppo e dell’Africa subsahariana in particolare. Lì 40 milioni di persone sono sieropositive. La maggior parte di queste sono nel pieno della loro attività produttiva e riproduttiva, ma non hanno accesso alle cure adeguate”.

Ritiene che gli accordi raggiunti nell’ultimo vertice del Wto a Doha siano soddisfacenti?

“Doha ha mostrato che ci stiamo iniziando a muovere sulla strada giusta: finalmente infatti è stata definitivamente accettata la produzione di farmaci generici da parte dei paesi che si trovano in condizioni di ‘estrema necessità e urgenza’. Non è stata accettata invece la commercializzazione di questi farmaci tra i paesi. Anche questo punto prima o poi dovrà essere ridiscusso. D’altra parte bisogna riconoscere che la politica delle case farmaceutiche in questi paesi è cambiata. Oggi c’è un impegno maggiore. Pensiamo per esempio alla distribuzione di farmaci gratuiti da parte della Roche”.

Qual è la diffusione del virus in Italia?

“Nel nostro paese stanno diminuendo i morti di Aids ma sono in aumento i sieropositivi. In Italia e nei paesi occidentali, la prospettiva di vita di chi manifesta uno stadio avanzato della malattia è notevolmente aumentata: fino al 1995 era di soli due o tre anni, adesso è di 20. Anche le condizioni di vita dei malati sono migliori. Per curarsi prima si prendevano fino a 30 pastiglie al giorno, oggi invece, con i nuovi cocktail a base di antiretrovirali, ne bastano 4 o 6. Si tratta però di medicinali che hanno pesanti effetti collaterali e, secondo i nostri dati, circa 1 paziente su 2 non li assume regolarmente. Per contrastare invece l’aumento dei sieropositivi, è importante organizzare campagne di prevenzione. Un dato relativo all’Italia oggi è sconcertante: il maggiore aumento di casi si è avuto tra gli eterosessuali, mentre tra la popolazione considerata a rischio – i tossicodipendenti e la comunità omosessuale -esiste una maggiore cultura della prevenzione che ha ridotto il numero di contagi. Nei tossicodipendenti, per esempio, questo è sceso al di sotto del 67 per cento”.

Dove bisognerebbe realizzare le campagne di prevenzione?

“Nelle scuole innanzitutto, visto che oggi l’età media del contagio riguarda le persone molto giovani, tra i 15 e i 25 anni. Poi nei diversi centri urbani del Paese, visto che finora le campagne nazionali si sono concentrate soprattutto nelle grandi città. Ma anche tra la gente comune: spesso accade che queste persone non sospettando di aver contratto il virus, se ne accorgono soltanto quando la malattia raggiunge lo stato di conclamazione. Un esempio che sorprenderà riguarda le donne con più di 40 anni, le cosiddette insospettabili, tra le quali si sta diffondendo l’Hiv. Il fenomeno si spiega con i rapporti extraconiugali non protetti dei mariti. Come Lila, noi insistiamo sulla prevenzione a livello locale cercando di convincere le prostitute ad avere rapporti protetti. Ma facciamo anche campagne per affermare i diritti dei sieropositivi e ridurre il danno. Un’azione, questa, di politica sociale da cui trae vantaggio non solo la popolazione infetta ma tutta la comunità civile”.

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