Salute

Hiv, la terapia ferma il virus nelle coppie gay

La terapia è prevenzione nella lotta all’hiv. Ovvero pazienti ben trattati hanno livelli così bassi del virus che è praticamente impossibile trasmetterlo a persone sieronegative. A ribadire con forza il messaggio sul ruolo centrale delle terapie antiretrovirali contro l’hiv è oggi uno studio pubblicato su Lancet, che ha analizzato il rischio di trasmissione del virus in alcune coppie di uomini gay sierodiscordanti, ovvero in cui solo uno dei due aveva hiv ed era in terapia con antiretrovirali. “Il rischio di trasmissione di hiv in coppie gay tramite sesso non protetto è effettivamente zero quando la carica virale è soppressa”, si legge nelle conclusioni.

Lo studio

Perché, anche se è solo una conferma a quanto si ripete da tempo, i risultati sono così importanti? In primo luogo perché, come spiegano all’inizio del paper gli autori – un team internazionale cui ha preso parte anche l’Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma – il rischio di trasmissione del virus in coppie sierodiscordanti era stato stimato soprattutto per coppie eterosessuali, con livelli variabili di utilizzo del preservativo nei rapporti. Con percentuali comunque incoraggianti, con riduzione del rischio ben superiore al 90%.

In questo caso l’attenzione dei ricercatori ha riguardato invece solo coppie di uomini gay, che hanno preso parte allo studio Partner. Sono stati reclutati nello studio maschi maggiorenni, in cui uno dei due aveva hiv ed era in terapia, e che avessero fatto sesso non protetto tra loro nel mese precedente.

Per partecipare il partner sieropositivo sarebbe dovuto rimanere in trattamento, entrambi presumbilmente avrebbero continuato a far sesso insieme e ovviamente dovevano essere d’accordo tutti e due a partecipare a uno studio volto a stimare il rischio di trasmissione.

Allo studio hanno partecipato oltre 70 centri, provenienti da 14 paesi europei, per un totale di oltre 700 coppie. L’aderenza alla terapia dei partecipanti con hiv era altissima, e gran parte (il 97%) aveva livelli del virus non rivelabili. Pochissimi per la durata dello studio – un totale di otto anni – hanno riferito di aver dimenticato di assumere la terapia per più di 4 giorni.

I risultati

Nel corso dello studio sono stati segnalati solo 15 casi di trasmissione di hiv, ma nessuno imputabile a trasmissione all’interno della coppia, come mostrato dalle analisi di caratterizzazione del virus. Questo significa che il tasso di trasmissione di hiv in coppie gay sierodiscordanti è stato praticamente zero, paragonabile a quello osservato per le coppie etero.

E questo a prescindere dalle decine di migliaia di rapporti anali senza preservativo, considerati a maggior rischio (per via della fragilità della mucosa anale e del pericolo di lesioni che aumentano la possibilità di trasmissione del virus).

Un risultato che significa diverse cose. In primis, sottolinea l’importanza dell’accesso ai trattamenti per tutte le persone infette, rinforzando il messaggio della campagna U=U (undetectable equals untransmittable), ovvero virus non rivelabile virus non trasmissibile. Un messaggio che ne contiene almeno un altro forte al suo interno. Perché le persone possano avere accesso ai trattamenti è necessario che conoscano il proprio stato. Solo così diventa possibile ridurre la carica virale, abbassare il rischio di contagio e dare un duro colpo al bacino delle infezioni che alimentano i nuovi casi.

Ma il focus sull’importanza della diagnosi, e quindi della campagna test-and-treat, non è l’unico a emergere dal paper pubblicato su Lancet. Quanto riportato oggi può essere un piccolo passo nel combattere lo stigma che ancora circonda l’hiv e le persone che ci convivono, ripetono diversi esperti. “Questo studio ha cambiato per sempre cosa significa vivere e amare con hiv nel mondo”, ha commentato per esempio Bruce Richman, direttore esecutivo della Prevention Access Campaign, che ha lanciato la campagna U=U, secondo quanto riporta il Guardian. Che non significa affatto abbassare la guardia sul fronte della prevenzione, in tutte le sue forme.

Via: Wired.it

Leggi anche su Galileo: Hiv: i test, le terapie e le sfide della ricerca trent’anni dopo

Anna Lisa Bonfranceschi

Giornalista scientifica, a Galileo Giornale di Scienza dal 2010. È laureata in Biologia Molecolare e Cellulare e oggi collabora principalmente con Wired e La Repubblica.

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