I conquistatori di Entella

Entella, antica città siciliana a est del fiume Belice, fu fondata dagli Elimi, popolo molto probabilmente proveniente dall’Anatolia all’inizio del primo millennio a.C.. Fino al 404 a.C. – anno dell’invasione dei mercenari campani – la città pare abbia goduto di autonomia politica. Ora a distanza di 25 secoli i ricercatori del Laboratorio di storia, archeologia e tipografia del mondo antico della Scuola normale superiore di Pisa, guidati da Carmine Ampolo, hanno trovato la prova della presenza a Entella dei guerrieri campani: due tombe risalenti appunto al IV secolo a.C. Si tratta dell’ultima di una serie di scoperte fatte grazie all’imponente attività di ricerca archeologica sulla Rocca di Entella iniziata nel 1982. “Si tratta di due tombe: una di un maschio e una di una femmina, sicuramente, entrambi campani”, ha spiegato Ampolo nel corso della presentazione dei risultati degli scavi presso il Centro di cultura scientifica “Ettore Majorana” di Erice. “Il maschio aveva un grande cinturone di bronzo, oltre alla lancia, segni della funzione militare. Per questa popolazione che aveva una grossa tradizione di attività militare (andavano al servizio dei Greci e dei Cartaginesi), il cinturone era infatti un segno di identità. Nella tomba della donna campana abbiamo invece trovato una fibula con incastonato del corallo”. A partire dai reperti ritrovati i ricercatori hanno ricostruito le tombe in due modi: ridisegnando i vari pezzi rinvenuti con un metodo grafico quindi più tradizionale, e grazie ai computer e ai software anche in maniera virtuale. “Si tratta di una scoperta senza precedenti”, ha sottolineato Ampolo. I mercenari campani popolarono parte della Sicilia durante la guerra fra Siracusa e Atene e furono assoldati prima dai Cartaginesi e poi dai tiranni. “Le fonti greche parlano a lungo dei mercenari Campani”, ha affermato Ampolo, “e secondo Platone, o un allievo di Platone, rappresentarono un grosso pericolo, come i Cartaginesi, per la grecità di Sicilia”.Per i ricercatori l’esposizione dei risultati ottenuti è stata anche l’occasione per ribadire “gli enormi danni provocati dai tombaroli clandestini che, più volte, hanno agito nell’area archeologica di Entella: se, per esempio, nello specifico, avessero rubato i bronzi e la fibula, noi non avremmo nessuna traccia archeologica sicura dei campani”. E il ricordo non può non andare, necessariamente, ai “Decreti di Entella”, scritti in greco su lamine in bronzo, trafugati agli inizi degli anni Ottanta e, successivamente, in parte recuperati.Costruita dagli Elimi, la Rocca d’Entella – posta ai confini tra le province di Palermo, Trapani e Agrigento, a circa 80 chilometri dal capoluogo dell’isola – come dimostrano i resti ritrovati negli scavi, attraversò vicende alterne nel corso dei secoli: più volte distrutta e ricostruita, nel XIII secolo fu il caposaldo della rivolta musulmana in Sicilia. Gli Arabi dominarono l’isola dal IX all’XI secolo d.C., per poi essere successivamente sconfitti dai Normanni; tuttavia alcuni insediamenti e comunità sopravvissero per almeno altri due secoli. La Rocca di Entella è proprio una di queste. “Ci troviamo davanti a una realtà etnicamente mista: da un lato ci sono gli indigeni (sicani e siculi), dall’altro i colonizzatori (in prevalenza greci e fenici)”, ha concluso Ampolo. “La cultura della Sicilia antica, naturalmente, non ha potuto non risentirne: essa è stata frutto di una fusione fra popoli, spesso – anche se, per fortuna, non sempre – caratterizzata da scontri e guerre sanguinose”.

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