I miracoli possibili

Tom Vaughan

Misure straordinarie
con Brendan Faser e Harrison Ford
Sony Picture 2010

Quando si mette sul mercato un farmaco per la cura di una malattia che colpisce pochissime persone, quale può essere considerato un buon margine di profitto e quale tasso di mortalità una perdita accettabile? E’ questa la logica – può apparire brutale – che guida le industrie farmaceutiche quando decidono di impegnarsi nello sviluppo e commercializzazione di un cosiddetto farmaco orfano. Come racconta il film “Misure straordinarie” (www.misurestraordinarie.it), dal 23 aprile in Italia, promosso in anteprima a Roma, Torino e Milano (dal 12 al 14 aprile scorso) dalla Fondazione Telethon e dall’Associazione Italiana Glicogenosi (Aig) per sensibilizzare il pubblico sull’importanza della ricerca scientifica sulle malattie rare.

Tratto dal libro “The Cure” della scrittrice premio Pulitzer Geeta Anand, il film è ispirato alla storia vera di una famiglia colpita da una malattia incurabile, la malattia di Pompe (o glicogenosi di tipo II), patologia neuromuscolare causata dal difetto di un enzima e caratterizzata dal mancato smaltimento del glicogeno, la riserva energetica dei muscoli, che quindi finisce per accumularsi danneggiando prima di tutto il cuore e i polmoni. Nel mondo colpisce 10 mila tra neonati, bambini e adulti, 300 in Italia. Una fetta di popolazione troppo piccola, quindi, per attrarre l’interesse di Big Pharma.

Il film ci presenta John Crowley (interpretato da Brendan Fraser), uomo in carriera che molla tutto per tentare di salvare Megan e Patrick, i due figli più piccoli, ai quali viene diagnosticata questa malattia. Crowley riesce a scovare un brillante ma sottovalutato ricercatore fuori dagli schemi, Robert Stonehill (Harrison Ford). Insieme fondano un’azienda biotecnologica per sviluppare una terapia salvavita e alla fine ce la faranno, dopo una dura lotta contro il rigido sistema sanitario Usa.

Al pubblico viene presentato sia il lungo e difficile cammino che un composto deve superare per essere approvato, i rigidi protocolli per la produzione di molecole, sia la logica del profitto che guida le aziende, poco interessate a sviluppare farmaci senza garanzie di un sostanzioso ritorno economico. Interessante anche l’attenzione data al tema della condivisione delle conoscenze: come mette in evidenza il protagonista, è necessario che i ricercatori che lavorano allo sviluppo di molecole per la stessa malattia possano confrontarsi e condividere alcuni risultati piuttosto che lavorare in competizione tra di loro.

Ma il film, più che denunciare il modus operandi delle aziende farmaceutiche, vuole stimolare il pubblico a informarsi sulle malattie rare e sui farmaci orfani e far uscire dall’ombra i malati che ne sono affetti. Negli Usa la pellicola ha suscitato molto interesse verso questa malattia, che è stata tra le più ricercate su internet mentre il sito www.pompe.com ha avuto 20 mila accessi in soli due giorni, e nei confronti dei veri protagonisti della storia, i ricercatori che hanno lavorato 10 anni prima di mettere a punto la terapia enzimatica a base di alglucosidasi alfa che, se somministrata nello stadio iniziale della malattia, è in grado di prolungare la sopravvivenza dei bambini affetti dalla forma classica, riducendo significativamente la cardiomiopatia.

Questo farmaco, sviluppato dall’azienda biotech Genzyme, ha cambiato in positivo la vita di molti pazienti, ma non di tutti. Per le altre forme della patologia Telethon sta studiando terapie complementari: nel 2009 il gruppo dell’Istituto Telethon di Genetica e Medicina di Napoli guidato da Giancarlo Parenti ha dimostrato in laboratorio che, affiancando alla terapia sostitutiva dei farmaci “aiutanti”, si può potenziare ulteriormente l’efficacia dell’alglucosidasi alfa. E’ partita così quest’anno una sperimentazione sull’essere umano coordinata da Generoso Andria dell’Università “Federico II” di Napoli.

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