I muscoli dall’eterna giovinezza

Immaginate un futuro dove non serva più allenarsi ore e ore per avere muscoli gonfi e tirati. Dove il tono e la forza muscolare siano garantiti da una fiala, o magari una pasticca, che agiscono sul patrimonio genetico. Nello stesso futuro si potranno prevenire gli effetti deleteri e patologici dell’invecchiamento, almeno a livello della massa muscolare. E i malati di distrofia muscolare avranno una possibilità in più di non soffrire. Il primo passo in questa direzione sono gli studi sul fattore proteico Igf-1, responsabile appunto del tono muscolare. Un gruppo di ricerca italo-americano è riuscito a inserire il gene che codifica per l’Igf-1, più precisamente per la sua variante che agisce solo sui muscoli volontari, negli embrioni di alcuni topi che, crescendo, sono diventati ipermuscolosi. Responsabile della parte italiana dell’esperimento è Antonio Musarò, ricercatore del Dipartimento di istologia ed embriologia medica dell’Università “La Sapienza” di Roma.

“I nostri topi sono diventati tutti dei piccoli Schwarzenegger”, spiega a Galileo il biologo molecolare, “gli animali di laboratorio che abbiamo opportunamente ingegnerizzato presentano un’ipertrofia muscolare che si conserva per tutta la vita”. Non solo. Al tono si associa anche la forza che è del 27-30 per cento superiore a quella misurata su un campione di animali non trattati geneticamente. Insomma, questo Igf-1 sembra davvero miracoloso, come spiegano i ricercatori sulle pagine di Nature Genetics. “Il fattore proteico che abbiamo utilizzato è noto già da tempo e interviene nel normale funzionamento del muscolo e di altri organi”, spiega Musarò. Una proteina molto diffusa nell’organismo, quindi, di cui però andava innanzitutto isolata la forma che agisce solo nel tessuto muscolare volontario, l’isoforma specifica chiamata appunto m-Igf-1. Un passo estremamente delicato poiché un tipo diverso dello stesso fattore proteico, secreto nel fegato, quando si diffonde nel sangue può provocare effetti dannosi, tra i quali il cancro alla prostata.

“Successivamente abbiamo individuato il promotore della proteina”, prosegue il ricercatore italiano, “cioè la macchina che stimola la produzione dell’m-Igf-1 nel muscolo”. Per questo è stato indispensabile isolare le sequenze di Dna che regolano l’espressione della miosina, la sostanza che successivamente attiva il fattore proteico e gli consente di esprimersi solo nel muscolo. Così si è costruito un vero “motore” per la produzione della proteina. “Il terzo e ultimo passo è di inserire il gene così isolato nella cellula uovo del topo attraverso un vettore, modificando così il patrimonio genetico degli animali”. I risultati di questo esperimento sono stati confortanti – nessun effetto collaterale è stato rilevato nei topi super muscolosi – e si vanno ad aggiungere a quelli già raggiunti dallo stesso gruppo italo-americano negli scorsi anni. In quel caso si era trattato di inserire, grazie a un virus spogliato del suo patrimonio genetico, lo stesso costrutto (proteina + promotore) in topi adulti e vecchi, osservando un recupero della funzionalità muscolare.

Gli studi, svolti per la maggior parte negli Stati Uniti nei laboratori del Massachusetts General Hospital-Esat dell’Università di Harvard e conclusi in Italia, si sono concentrati finora sull’azione dell’m-Igf-1 sul tono muscolare in animali sani. Ora i ricercatori pensano di spostare la loro attenzione su modelli patologici, primo fra tutti quello della distrofia muscolare. All’Associazione americana per la lotta contro questa malattia si devono infatti i finanziamenti che hanno permesso lo svolgersi di queste ricerche. “Per arrivare a una qualche sperimentazione sull’essere umano, però, dobbiamo ancora verificare che l’inserimento del fattore proteico nel patrimonio genetico non sia dannoso per l’intero organismo e che non si inneschino interazioni con altri geni”. Questione di anni, decine forse. E poi il tono muscolare potrà essere ripristinato grazie a un farmaco. Il doping quindi sarà genetico? “Questa eventualità è come un brutto sogno per me”, conclude Musarò, “ma la nostra responsabilità è quella di lavorare per alleviare una malattia. Se poi il frutto delle nostre ricerche si trasformerà in un farmaco venduto in farmacia, sarà compito delle autorità permetterne l’acquisto solo a chi ne ha davvero bisogno”.

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