I numeri ribelli, pubblicato in inglese con il titolo The Wild Numbers nel 1998, è la storia di un giovane matematico che, arrivato a trentacinque anni, si rende conto di non aver ancora ottenuto risultati significativi nella sua carriera scientifica. A un certo punto gli viene un’idea che potrebbe portare alla soluzione di un problema matematico aperto da tempo. Un risultato che riguarda la teoria dei numeri. Il protagonista come si fa usualmente nella ricerca matematica ha consegnato qualche giorno prima il suo articolo al massimo esperto presente nel dipartimento, Dimitri Arkanov che lo accoglie con queste parole: «Rileggendo il suo articolo ho provato lo stesso piacere della prima volta. Le tue scoperte conducono alle vette più alte della teoria dei numeri, proprio come avevo sperato di fare io più di trent’anni fa quando mi ero occupato di questo problema. Il panorama che ci offri è mozzafiato».

E lui, il protagonista, Isaac Swift, é felice, non comprende dove l’esperto vuole arrivare, «con la matematica o capisci o non capisci». Ma…bussano alla porta, ed entra un personaggio che non è difficile veder gravitare attorno ai dipartimenti di matematica, un dilettante che pensa di dimostrare teoremi dopo teoremi con tecniche da lui inventate e ovviamente assurde. Un tipo un poco pazzo, sopportato perché malato. E vedendo quell’articolo, “Una soluzione del problema dei numeri ribelli di Beauregard” di Isaac Swift, si mette a gridare. «Sono stato io a mostrare al mio collega come risolvere questo problema, neanche tre settimane fa!». E inizia l’incubo del protagonista.

È un libro che affronta il problema della creatività, della solitudine, del fallimento, che descrive in modo molto convincente come si formano le idee nella mente di un matematico. Come tutto questo influenzi la sua vita, come la muti a seconda se ritiene che le sue idee siano giuste e consentano di dare un senso a un’esistenza altrimenti vuota. La convinzione di aver ottenuto un grande risultato consente a Swift di recuperare anche una vita di relazioni, di conoscere delle ragazze, di uscire temporaneamente dalla sua eterna depressione. Perché «sul piano sociale come su quello matematico, la mia vita era arrivata a un punto morto». E l’idea, la consapevolezza di stare facendo qualcosa di importante: «Fu come tornare a casa, ai momenti più felici della mia infanzia, quando ogni nuova intuizione rendeva il mondo più grande e misterioso, e non più piccolo e banale come capitava ormai sempre più spesso». La diversità di essere un matematico: «Mentre in altre aree del sapere la conoscenza tende ad aumentare progressivamente, in matematica la transizione dall’ignoranza alla comprensione è istantanea e assoluta. O si capisce o non si capisce. Se si capisce però, il territorio conquistato appare incredibilmente nitido, e la sua bellezza sarà così emozionante che ci sembrerà di avere le ali e di saper volare. È per questo che la matematica dà dipendenza».

Il Libro

Philibert Schogt
I numeri ribelli
Dedalo 2011, pp. 187, €14,00

Michele Emmer

Professore di matematica alla Sapienza Università di Roma, si occupa di superfici minime e di calcolo delle variazioni, di computer graphics, dei rapporti tra matematica e arte, tra matematica e cultura, di film, di mostre.Ha realizzato 18 film della serie “Arte e matematica”. Organizza da 16 anni il convegno “Matematica e cultura” a Venezia, è editor delle serie Springer “Mathematics and Culture” e “The Visual Mind”, MIT Press. Collabora a L’Unità, Sapere, Alfabeta2, La Stampa, Il Manifesto. Ultimi libri: "Numeri immaginari: cinema e matematica” (Bollati Boringhieri 2012). "Imagine Math 2" (Springer 2013)

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