“Un computer in ogni classe”, è questo l’imperativo del ministro italiano della pubblica istruzione. Ma, a dispetto degli entusiasti, c’è anche chi solleva dubbi sul reale valore delle nuove tecnologie nella didattica. A guidare il fronte degli scettici c’è Clifford Stoll, astronomo americano esperto di computer che, nel suo ultimo libro – “High Tech Heretic”, l’eretico tecnologico – cerca di capire quali siano i problemi della “didattica digitale”. Secondo Stoll il tempo passato al computer dai giovani studenti sarebbe eccessivo. Sarebbe invece meglio, in età scolare, stimolare altri tipi di apprendimento come le lingue, la musica o le abilità artistiche. E invece le aule di informatica stanno sostituendo – specie negli Stati Uniti, dove il 95 per cento delle scuole pubbliche è connessa a Internet – i tradizionali laboratori e le librerie. Inoltre, sempre secondo Stoll, la realtà virtuale proposta via web non può sostituirsi all’osservazione diretta del mondo: “provare a rendere la scuola una esperienza divertente e di intrattenimento con il computer”, avverte lo scienziato americano, “distrugge la vera essenza dell’apprendimento”. Keith R. Krueger, direttore del “Consortium for School Networking” di Washington non è però d’accordo: “Imparare è un’attività seria e impegnativa ma non deve essere separata dal divertimento”. La disputa, insomma, è aperta. (m.g.)
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