I segreti delle galassie attive

Come se viaggiassero nel vuoto. È questo l’apparente comportamento dei “fiumi” di gas all’interno delle galassie attive, quelle cioè dove ci sono evidenti segni di intensa attività energetica. I fiumi, infatti, si muovono per migliaia di anni luce, senza perdere energia, quindi, senza interagire con la materia che attraversano. A verificarlo, con molta sorpresa, sono stati i ricercatori Rita Sambruna della George Mason University (Usa), Laura Maraschi e Fabrizio Tavecchio dell’Osservatorio Astronomico di Brera. Che hanno elaborato i dati forniti da Chandra, il satellite della Nasa. La scoperta è stata presentata e discussa alla Scuola internazionale di Raggi Cosmici del Centro “Ettore Majorana” di Erice, suscitando l’interesse degli astrofisici. I ricercatori si attendevano che nel cammino intergalattico i getti di gas, interagendo con la materia, subissero un rallentamento. Ma così, invece, non è stato.Gli interrogativi, comunque, sono ancora numerosi: bisogna per esempio capire quali motori accelerano i getti di gas a energie così elevate. “Questi getti”, spiega Sambruna, “sono emanati dalle regioni centrali delle galassie attive, dove si pensa che ci sia un buco nero supermassiccio, con la massa di circa un miliardo di Soli. Il gas si muove a velocità elevatissime: il 90 per cento di quella della luce”. Il vantaggio del satellite Chandra rispetto agli altri è racchiuso nella sua risoluzione angolare: 0,5 arc secondi per elemento di risoluzione (pixel), equivalente alla capacità di distinguere nettamente un cartello stradale alla distanza di 19 chilometri. “Una delle scoperte più inaspettate”, dice Sambruna, “è che i getti nelle galassie attive sono emettitori copiosi di luminosità X su scale di migliaia di anni luce. Mentre prima dell’avvento di Chandra i getti X, si contavano sulle dita di una mano, adesso sono diventati una classe a se stante”. L’obiettivo degli astrofisici – e l’unità di intenti manifestata al corso internazionale di Erice lo ha confermato – è quello di trovare la grande strada dell’unificazione delle leggi che regolano l’Universo. E con la visione unificata si sposano bene le numerose osservazioni fatte da gruppi di ricercatori i quali ipotizzano che una buona fetta dei segreti che nasconde l’Universo sono racchiusi nelle galassie attive (quelle a noi più lontane) e in particolare nei buchi neri supermassicci. E in sintonia con questa visione sono anche i contributi forniti da Charles Dermer del Naval Research Laboratory di Washington, secondo cui i Gamma Ray Burst (Grb, brevi lampi di raggi gamma) hanno origine dalle Supernove. “In particolare”, spiega Dermer, “il modello favorito per spiegare i Grb di lunga durata coinvolge il collasso della parte centrale di una stella massiccia, possibilmente formando un buco nero”. L’origine dei Grb, tuttavia, continua a essere un affascinante mistero che appassiona migliaia di scienziati in tutto il mondo. Le condizioni per risolvere l’enigma sembrano esserci e gli scienziati sono ottimisti. Certamente per poter stabilire con precisione l’origine dei lampi di luce, un osservatorio orbitante dovrebbe cogliere la sorgente in “flagranza”. Fortunatamente, nonostante i Grb si esauriscano in qualche frazione di secondo, producono immagini catturabili nella fase precedente e successiva l’emissione dei raggi. Il tempo disponibile per scoprire e “immortalare” la sorgente – prima e dopo il lampo – è complessivamente di circa trenta secondi, mille volte in più della durata del lampo stesso.

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