I sei punti di non ritorno per la vita sulla Terra

Li-An Lim / Unsplash

Mentre gli scienziati di tutto il mondo continuano a sottolineare l’urgenza di interventi drastici per invertire la tendenza del cambiamento climatico e dell’utilizzo insostenibile delle risorse sulla Terra, anche l’università delle Nazioni Unite (Unu, United Nations University), che si occupa di fare ricerca su questioni che rientrano nelle aree di interesse dell’Onu, fa sentire la sua voce. Nel rapporto “Interconnected Disatser Risks 2023” gli esperti della Unu analizzano sei cosiddetti “punti di non ritorno”, che rappresentano un rischio imminente per la salvaguardia della vita sulla Terra. Fra questi ci sono ad esempio l’esaurimento delle falde acquifere, le estinzioni di massa, l’accumulo di detriti nello spazio, lo scioglimento dei ghiacciai. Vediamo nel dettaglio di che cosa si tratta e quali sono le soluzioni proposte.


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I punti di non ritorno

Nel rapporto il concetto di punto di non ritorno (tradotto dall’inglese risk tipping point) è definito come il momento in cui i sistemi ecologici e sociali sui quali facciamo affidamento per la nostra sopravvivenza rischiano di smettere di funzionare nel modo in cui ci aspettiamo, avendo esaurito la loro capacità di adattamento ai cambiamenti in corso. “Avvicinandoci a questi punti critici, inizieremo già a sperimentarne gli impatti. Una volta superati, sarà difficile tornare indietro”, spiega Jack O’Connor, fra gli autori principali del report. “Il nostro rapporto può aiutarci a vedere i rischi che ci attendono, le cause che li determinano e i cambiamenti urgenti necessari per evitarli”.

Un esempio molto tangibile di punto di non ritorno è l’esaurimento delle falde acquifere: secondo i dati riportati, più della metà delle principali risorse acquifere sotterranee del mondo si sta esaurendo più velocemente di quanto possano rigenerarsi in modo naturale. L’entità del problema si intuisce considerando che dalle falde acquifere sotterranee dipende la disponibilità di acqua potabile per oltre due miliardi di persone nel mondo. Fra gli altri risk tipping point c’è poi quello della perdita incontrollata della biodiversità, collegata al rischio per i vari ecosistemi di perdere la propria funzionalità. Per dare un’idea, negli ultimi 100 anni abbiamo perso oltre 400 specie di vertebrati, e sono circa un milione le specie vegetali e animali attualmente a rischio di estinzione.

C’è poi la questione dei detriti presenti nello spazio, che stanno diventando sempre più numerosi e che possono viaggiare a velocità pari a 25 mila chilometri orari, rischiando di impattare contro satelliti funzionanti (e limitare quindi le nostre capacità di prevedere ad esempio eventi meteorologici estremi) o di entrare nell’atmosfera terrestre in modo imprevisto. Gli altri tre risk tipping point riguardano infine lo scioglimento dei ghiacciai (cui consegue l’innalzamento dei livelli del mare e una sempre più difficile sopravvivenza per gli ecosistemi montani), il raggiungimento in alcune zone del Pianeta di temperature estreme, e il caso delle aree così definite “non assicurabili”, poiché esposte a un eccessivo rischio di catastrofi naturali. Un esempio è l’Australia, dove si prevede che entro il 2030 più di 500 mila abitazioni rischino di rimanere scoperte da qualsiasi polizza assicurativa a causa dell’aumento nel rischio di inondazioni.

Cosa possiamo fare

Il report non si limita ad elencare i possibili e imminenti disastri, ma offre anche spunti di riflessione su quali strategie sia possibile adottare per evitare la catastrofe. Innanzitutto è necessario cambiare il modo di pensare alle possibili soluzioni. Secondo gli autori del report le soluzioni attualmente implementate sono infatti focalizzate a ritardare i possibili impatti, senza proporre delle vere e proprie trasformazioni. Un esempio che riportano e utile a comprendere il concetto è quello dell’utilizzo dei climatizzatori. Sottinteso che in alcuni casi non è più possibile farne a meno, il loro utilizzo serve alla sopravvivenza nell’immediato, ma non ha nulla a che vedere con la soluzione del problema a monte, ossia l’eccessiva emissione di gas serra che continua a portarci verso un inesorabile aumento delle temperature globali. Soluzioni così definite “trasformative” dovrebbero invece concentrarsi sulla riduzione delle emissioni, su una diminuzione nell’utilizzo di combustibili fossili e così via. In modo tale che l’impatto del risk tipping point non venga solo ritardato, ma anche, dove possibile, evitato del tutto.

Naturalmente si tratta di soluzioni che richiedono un notevole sforzo e adattamento da parte di tutti a nuove esigenze: “Un vero cambiamento trasformativo coinvolge tutti”, conclude Zita Sebesvari, vice-direttore dell’Institute for Environment and Human Security dell’Unu.

Via Wired.it

Crediti immagine: Li-An Lim / Unsplash