Il bilinguismo mette i muscoli al cervello

(Immagine: Pixabay)

Fare l’architetto potenzia le abilità visive. Giocare ai videogame migliora l’attenzione. Guidare un taxi affina la memoria. E, allo stesso modo, parlare due lingue rende più capaci di concentrarsi e organizzare le informazioni, già dai primi mesi di vita. È quanto ha appena scoperto un’équipe di ricercatori dell’Insitute for Learning and Brain Sciences (I-Labs) della University of Washington, coordinata da Naja Ferjan Ramirez: come raccontano sulle pagine di Developmental Science, infatti, gli scienziati hanno scoperto che le differenze tra il cervello di bilingui e monolingui – e in particolare il fatto che i primi abbiano migliori capacità di attenzione e problem solving – emergono già intorno all’undicesimo mese di vita. Cioè più o meno quando si inizia a parlare.

“I risultati dello studio”, spiega Ramirez, “suggeriscono che prima ancora di cominciare a parlare, i bambini cresciuti in una famiglia bilingue hanno una dimestichezza maggiore nelle cosiddette funzioni esecutive, cioè nel problem solving, nell’inibizione di stimoli inappropriati e nell’organizzazione de concetti in maniera ordinata, il che suggerisce che il bilinguismo influenza non solo lo sviluppo linguistico del bambino ma anche le sue capacità cognitive”. In particolare, i ricercatori hanno esaminato la risposta del cervello di 16 bambini dell’età di 11 mesi a stimoli costituiti da suoni tipici dell’inglese, suoni specifici della lingua spagnola e suoni misti, appartenenti alle due lingue. 8 dei bambini erano nati e avevano trascorso il primo anno di vita in un ambiente monolingue inglese, mentre gli altri 8 proveniavano da famiglie bilingui inglese-spagnolo. La ricerca, condotta con l’uso della Meg (magnetoencefalografia), una tecnica non invasiva che permette di monitorare l’attività cerebrale osservando il punto preciso in cui si realizza la risposta a uno stimolo, ha evidenziato una maggiore attività, nei bambini bilingui, delle aree corticali prefrontale e orbitofrontale, due aree deputate alla gestione delle funzioni esecutive, appunto.

L’idea alla base dello studio, quindi, è che un bambino bilingue, dovendo costantemente monitorare la situazione comunicativa e dovendo scegliere una lingua diversa per parlare con mamma e papà, metterebbe i muscoli a quelle aree del cervello che gli consentono di vivere una vita da poliglotta, ottenendo di conseguenza un benefit anche per quanto riguarda le proprie capacità cognitive. Sull’altro piatto della bilancia, bisogna considerare comunque il cosiddetto “paradosso del bilinguismo”, il fatto cioè che spesso i bambini bilingui hanno un vocabolario più povero rispetto a coloro che parlano una sola lingua; i vantaggi che derivano dall’essere bilingue, in ogni caso, sembrano essere notevolmente superiori, e, come suggerito dallo studio, si prestano all’esame dei possibili risvolti positivi che una formazione bilingue può avere in patologie neurologiche come l’Alzheimer o i disturbi specifici dell’apprendimento.

Simona Perrone

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