C’è una galassia, a 659 milioni di anni luce dalla Terra, che ha degli “ospiti” molto particolari nel proprio nucleo: due enormi buchi neri che anno dopo anno ruotano l’uno attorno all’altro in orbite sempre più strette, fino a che, un giorno, non finiranno per fondersi in un unico “mostro”.
La possibilità di “vedere” questo fenomeno è il primo straordinario successo ottenuto dal nuovo progetto mondiale di radioastronomia, chiamato “Space Vlbi”, che coinvolge oltre 40 radiotelescopi sulla terra e uno nello spazio. Facendo lavorare assieme e contemporaneamente tutte le antenne terrestri e quella spaziale, si ottiene infatti uno strumento (l’interferometro), che “simula” un’unica parabola di diametro pari a due volte quello del nostro pianeta. L’occhio di questa nuova antenna può raggiungere luoghi finora inaccessibili, proprio come il nucleo della galassia Mrk 501, mostrando i dettagli grandi 9 anni luce in oggetti distanti oltre 650 milioni di anni luce. Più o meno è come seguir, stando sulla Terra, una gara di Formula 1 sulla Luna.
La proposta di osservazione della galassia Mrk 501 è partita da un gruppo di ricercatori di Bologna, con collaboratori statunitensi e spagnoli, guidato dal professor Gabriele Giovannini del Cnr e dell’Università di Bologna. “La Mrk 501 ci ha incuriosito”, spiega il professor Giovannini, “perché è una delle galassie più luminose se studiata alle lunghezze d’onda dei raggi X e gamma. Inoltre, è nota per avere una forte radioemissione nucleare dovuta non alla luce delle stelle ma alla radiazione emessa da elettroni, che si muovono in un campo magnetico a velocità molto vicina a quella della luce”.
Oggi si ritiene che l’origine di questa enorme energia sia dovuta a un fiume di particelle, elettroni e non, emesso da un grande buco nero al centro della galassia. Ma il dettaglio delle osservazioni della zona centrale della Mrk 501 ha reso la soluzione del mistero ancora più intricata: ci sarebbero addirittura due buchi neri nel nucleo. Come si siano formati e quale sia il loro destino è ancora un’incognita. “Saranno necessari nuovi studi come lo Space Vlbi per determinare la loro massa e il raggio dell’orbita”, afferma Giovannini. “Per il momento, con i dati che abbiamo, ogni ipotesi sarebbe azzardata”.
Questa nuova esperienza spaziale è resa possibile dalla collaborazione di tutto il mondo scientifico, dagli Usa all’Italia, dall’Australia alla Polonia passando per il Giappone, che ha lanciato l’antenna che ora orbita attorno alla Terra. Chi, in tempi recenti, ha affermato che la radioastronomia era diventata inutile, essendo ormai stato scoperto tutto il possibile, ora è costretto a ricredersi. Il futuro della radioastronomia è nello spazio.
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