Il caso diventa europeo

Ai casi italiani si sono uniti altri di militari svedesi, francesi e del Regno Unito. Coinvolgendo praticamente, ogni contingente Nato che ha operato nei territori della ex-Jugoslavia durante le varie operazioni militari. Ma le autorità ufficiali statunitensi negano, mentre Doug Rokke, fisico e coordinatore della spedizione americana inviata per i sopralluoghi nella guerra del Golfo denuncia: “Eravamo in cento durante quella spedizione e il 20 per cento della mia équipe si è ammalato ed è morto”. Il presidente della Commissione europea, Romano Prodi, ha chiesto agli Usa chiarezza sulla vicenda, il Dipartimento della difesa americano ha annunciato ieri che non esistono prove sulle responsabilità dei proiettili a uranio impoverito nei casi di tumore denunciati dai veterani delle forze di pace in Kosovo. Il portavoce del Pentagono, Ken Bacon, ha detto che gli Stati Uniti sono disposti a cooperare alle indagini della Nato, ma non intendono sospendere l’uso degli armamenti sotto accusa. “In base alle nostre esperienze”, ha dichiarato Bacon, “possiamo dire con sicurezza che non esiste alcun legame diretto tra gli attacchi aerei operati in Kosovo e la leucemia”. Le fonti su cui si basa Bacon sono gli studi condotti dalla Casa Bianca e dall’Istituto di medicina statunitense, che hanno preso come campione i veterani americani della guerra nel Golfo. Bacon ammette che i proiettili usati potrebbero avere “effetti secondari sulla salute”, “ma bisognerebbe tenere in mano un residuo di uranio impoverito per 250 ore consecutive per subire un effetto secondario come la leucemia”. (f.g.)

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