Categorie: Società

Il controllo non basta

I controlli sui materiali e sulla tecnologia nucleare iniziarono nella seconda Guerra mondiale, nel tentativo di impedire al Terzo Reich di ottenere vantaggi in quella che si considerava fosse la corsa alla costruzione della prima bomba atomica. Con la fine della guerra e nel periodo successivo, i controlli sulle esportazioni dai paesi occidentali si indirizzarono verso altri paesi, in particolare l’Urss e l’Est europeo.Negli anni ‘40 e ‘50, i controlli sulle esportazioni nucleari vennero disposti ed effettuati a livello nazionale, fino a quando l’NPT (Non Proliferation Treaty, Trattato di non proliferazione) fu negoziato nel 1968. L’NPT rappresenta un patto fra gli Stati in possesso di bombe nucleari (Nuclear Weapon States, NWS; ce ne sono 5 riconosciuti dal Trattato) e gli Stati privi di armi nucleari (Non-nuclear Weapon States, NNWS). Il patto prevede una forma di reciprocità: gli stati NNWS accettano di rinunciare alle armi nucleari e di sottoporre le loro attività nucleari civili a ispezioni intrusive da parte dell’IAEA (International Atomic Energy Agency, Agenzia internazionale per l’energia atomica). I paesi NWS, invece, si impegnano (insieme a tutti gli Stati che hanno sottoscritto il Trattato) ad assistere, per quanto riguarda il settore nucleare civile, gli altri Stati aderenti, e a negoziare in buona fede i passi necessari per raggiungere il disarmo nucleare.

Furono costituiti anche altri organismi per i controlli delle esportazioni, all’interno di ciò che venne indicato come “regime di non-proliferazione”. La priorità principale di questi organismi è stata lavorare per implementare le clausole previste dall’NPT, tramite reali misure sul controllo delle esportazioni che potessero essere condotte in collaborazione fra tutti i paesi mossi dalle stesse esigenze.

Il Comitato Zangger fu creato nel 1971 allo scopo di stabilire le linee guida per mettere in atto i provvedimenti sui controlli delle esportazioni nel NPT. Esso ora è costituito da 30 paesi che si riuniscono due volte l’anno a Vienna. Il Comitato Zangger (http://www.acda.gov/factshee/exptcon/zangger.htm) ha elaborato, nel corso degli anni, una lista di materiali e di tecnologie “delicati” (cioè adatti a potenziali usi nucleari militari) da sottoporre a controllo. Questo elenco è noto come “Trigger List”. Il Comitato esige che le esportazioni previste nella Trigger List possano essere eseguite solamente nel caso che:

– non siano usate per scopi esplosivi;

-siano soggette a una completa tutela;

non siano riesportate, a meno che esse siano soggette a tutela anche negli stati riceventi.

Il Gruppo dei Fornitori Nucleari (Nuclear Suppliers Group, NSG, chiamato anche il London Club) fu costituito nel 1974 ed è indipendente dalla IAEA. L’NSG si differenzia dal Comitato Zangger in quanto gli Stati concordano nell’esercitare cautela nel trasferimento di materiali e tecnologie “delicati”, e possono bloccare il trasferimento di tecnologie per il riprocessamento e l’arricchimento, e i trasferimenti successivi verso gli Stati terzi. L’NSG ha costituito, inoltre, una lista relativa alle tecnologie a doppio uso che devono essere soggette a controllo e richiede garanzie sull’uso finale dei prodotti acquistati da parte degli stati riceventi (1).

Esistono altre procedure di vigilanza sulle tecnologie “delicate” e su quelle a doppio uso, che includono rigidi controlli nazionali e regimi di ispezione sulle esportazioni, come l’Accordo di Wassenaar e il Regime di controllo sulle tecnologie missilistiche (MTCR, Missile Technology Control Regime) (2).

Perché gli Stati vogliono le armi nucleari?

Esiste una varietà di motivi che spingono gli Stati ad acquisire armi nucleari: interessi di sicurezza nazionale; il timore che gli Stati vicini possano dotarsi di armi nucleari; questioni di prestigio e status; le pressioni da parte dell’opinione pubblica; le capacità della propria comunità scientifica; le pressioni provenienti dalle forze militari; l’intenzione di guadagnare concessioni finanziarie in cambio dell’impegno a bloccare il programma di armamento nucleare; e altre ancora.

Gli stati in possesso di armi nucleari (NWS)

Dagli anni ‘40 ai ‘60 cinque Stati hanno sviluppato armi nucleari e ora sono legalmente riconosciuti come NWS. Le ragioni per dotarsi di armi nucleari variano e sono complesse. Nel caso degli Usa, esse furono inizialmente le preoccupazioni nei confronti delle capacità naziste, di quelle giapponesi e, successivamente, come deterrente nei confronti dell’Urss. L’Urss sviluppò armi nucleari in risposta alla percepita minaccia proveniente dagli Usa.L’Inghilterra e la Francia le svilupparono per ragioni di status e prestigio (esse erano già membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite), per controbilanciare la schiacciante influenza degli Usa nel settore militare e per disporre in Europa di un deterrente, indipendente anche se limitato, nei confronti dell’Urss. La Cina le sviluppò per questioni di prestigio e di status e come deterrenza nei confronti degli Usa e dell’Urss.Ora che la Guerra fredda è terminata, la questione interessante è: “Perché i NWS sentono il bisogno di mantenere le armi nucleari (e, nel caso degli Usa e della Russia, tuttora in gran quantità)?

I casi di Sud Africa, Brasile, Argentina e Ucraina

Sebbene questi Stati abbiano rinunciato volontariamente a tutte le loro capacità nucleari militari, le ragioni che inducono queste nazioni a possedere armi atomiche o a tentare di realizzarle, sono sostanzialmente differenti. Nel caso del Brasile e dell’Argentina, le armi nucleari erano viste come utile deterrenza reciproca. Le pressioni dei militari e delle comunità scientifiche costituivano le principali forze che spingevano in questa direzione. Solo quando le relazioni fra questi Stati migliorarono, come risultato degli enormi cambiamenti intervenuti nei loro governi, i due Stati furono d’accordo nel rinunciare completamente al tentativo di acquisizione di capacità nucleari militari. Attualmente, sia il Brasile che l’Argentina hanno aderito all’NPT e al Trattato di Tlatelolco (sulla denuclearizzazione dell’America Latina, ndt).

Durante l’Apartheid, il Sud Africa sviluppò un certo numero di armi nucleari in conseguenza del proprio senso di isolamento. L’idea sottostante a questa politica era che, nel caso in cui la sicurezza dello Stato fosse stata seriamente minacciata, il Sud Africa avrebbe potuto effettuare un test nucleare come ammonimento alle forze avversarie e agli Usa, nella speranza che questi ultimi si sarebbero poi sentiti obbligati a intervenire in suo soccorso. Quando il regime dell’Apartheid venne sovvertito, le armi nucleari furono smantellate e l’IAEA fu chiamata a verificare che questo processo di distruzione fosse stato effettivamente completato.

La situazione dell’Ucraina è stata completamente diversa. Rimasta con le armi nucleari sovietiche dopo il crollo dell’Urss, l’Ucraina prese seriamente in considerazione la possibilità di conservare la capacità atomica come deterrente nei confronti di una potenziale minaccia russa. Fu necessaria un’enorme pressione internazionale, accompagnata in realtà da ben poche garanzie di sicurezza, per persuadere l’Ucraina che avrebbe potuto meglio curare i suoi interessi nazionali come NNWS.

Israele

In Medio Oriente, la situazione dello Stato di Israele, che si vede circondato da realtà percepite come ostili, lo ha condotto ad una posizione di ambiguità rispetto alle armi nucleari. Si ritiene generalmente che Israele abbia una notevole capacità in termini di armi nucleari, ma lo Stato ebraico non ha mai confermato ufficialmente questo fatto. Israele subordina l’abolizione di tutte le armi di distruzione di massa nel Medio Oriente a un accordo di pace. Fino a quel momento non rinuncerà a nessuna arma nucleare eventualmente in suo possesso.

India e Pakistan

Nonostante il test nucleare effettuato dall’India nel 1974 (definito “esplosione nucleare pacifica”), sia l’India che il Pakistan hanno mantenuto una posizione di ambiguità nei confronti delle armi nucleari. In genere si riteneva che entrambi gli Stati avessero capacità nucleari, ma essi non lo avevano mai dichiarato ufficialmente. Nel maggio 1998, l’India ha effettuato vari test nucleari e il Pakistan ne ha seguito l’esempio. Le loro capacità non sono, quindi, più in dubbio. L’India sostiene di aver sviluppato armi nucleari come risposta alle capacità atomiche della Cina, e a seguito del conflitto avutosi fra questi due paesi nel 1962. Il Pakistan ha realizzato armi nucleari in risposta al programma di armamento nucleare indiano.

Dall’inizio dei test nucleari nel maggio ‘98, l’India ha ripetutamente dichiarato i motivi che l’hanno spinta a sviluppare armi nucleari: ragioni di sicurezza nazionale, di status, di prestigio, di uguaglianza, e la preoccupazione di venir messa con le spalle al muro dalle richieste del CTBT. L’India sostiene anche di aver voluto innescare un processo di disarmo nucleare significativo. Le ragioni del Pakistan sono riconducibili essenzialmente alla necessità di sentirsi pari all’India, e di dimostrare una capacità di deterrenza nei confronti dello stato vicino.

Iraq

Malgrado l’accordo di cessate il fuoco, la fine della Guerra del Golfo e gli energici sforzi dell’UNSCOM, non ci sono dubbi che l’Iraq persegua ancora l’obiettivo di acquisire armi di distruzione di massa. Le motivazioni del desiderio iracheno di possedere armi nucleari (desiderio che rimane inalterato nonostante gli ostacoli posti dai controlli sulle esportazioni) sembrano avere poco a che vedere con lo status, il prestigio o la deterrenza. Piuttosto, pare più probabile che le armi nucleari vengano viste come strumenti di aggressione o di pressione politica.

Nord Corea

Supponendo che la Corea del Nord stesse cercando di fabbricare armi nucleari (cosa che potrebbe benissimo star facendo ancora adesso), le motivazioni del suo programma atomico non sono chiare. Non sembra che queste abbiano molto a che vedere con considerazioni di prestigio e di status, ma piuttosto con l’intenzione di possedere un deterrente nei confronti della Corea del Sud e degli Usa, oppure uno strumento di aggressione contro la Corea del Sud, gli Usa e il Giappone. Inoltre, la capacità nucleare è stata certamente utilizzata per ottenere tecnologia nucleare civile e altre forme di contributi energetici, nonché per attirare l’attenzione sui problemi che affliggono la Corea del Nord.

Altri proliferatori potenziali

Vi è un gran numero di potenziali proliferatori. Molti Stati possiedono le tecnologie richieste; altri paesi o gruppi terroristici potrebbero tentare di acquisire armi nucleari da uno o due di questi Stati, o da militari appartenenti a questi Stati (sebbene le armi chimiche o biologiche potrebbero essere più utili e credibili come arma di terrore). Indubbiamente, la maggior parte dei paesi in possesso delle capacità tecnologiche necessarie non hanno alcun interesse a realizzare armi nucleari. Tuttavia, anche per alcuni di questi Stati, i test effettuati da India e Pakistan hanno rappresentato uno shock, e potrebbero indurli a ripensare la loro posizione nei confronti delle armi nucleari e forse a sviluppare piani di emergenza nel caso la situazione della proliferazione nucleare si aggravasse.

Esportazioni controllate

I controlli sulle esportazioni hanno chiaramente avuto un effetto sulla costruzione o sul tentativo di costruzione di armi nucleari da parte di alcuni Stati. Nella maggior parte dei casi, i controlli sulle esportazioni hanno reso molto difficile, o addirittura impossibile, l’ottenimento delle tecnologie, e in particolare di quelle più “delicate”. Ci sono tuttavia state notevoli eccezioni a questa opera di interdizione, e gli effetti di questi insuccessi non vanno sottovalutati.

Prendiamo come esempio l’Iraq. Negli anni ‘70 ed ‘80 l’Iraq ebbe un attivo programma di acquisizione di tecnologie. Nei casi in cui l’Iraq non riuscì a comprare sul mercato legale o illegale i materiali e le attrezzature che desiderava, cercò di realizzare autonomamente i componenti necessari, oppure trovò un modo alternativo di raggiungere lo scopo prefissato (come nel caso dei “calutrons”, utilizzati per l’arricchimento dell’uranio al posto della tecnologia delle centrifughe, sebbene vi fosse un certo numero di centrifughe che era stato in grado di acquistare). Persino tenendo conto della parziale efficacia dei controlli sulle esportazioni dirette in Iraq, la capacità dimostrata da questo paese di realizzare una bomba nucleare quasi funzionante, ha rappresentato un’amara lezione per tutti i paesi fornitori.

Anche il Sud Africa ha portato avanti un programma nucleare, nonostante i controlli sulle esportazioni e un ambiente internazionale particolarmente ostile, così come è successo per l’India, il Pakistan, Israele e forse anche l’Argentina, il Brasile e la Corea del Nord.

Il principale effetto dei controlli sulle esportazioni sembra essere stato quello di ritardare e ostacolare le capacità dei possibili proliferatori nel settore delle armi nucleari. Se uno Stato è abbastanza determinato e possiede la base tecnologica, le risorse finanziarie e, cosa importante, il materiale fissile, allora i controlli sulle esportazioni non gli impediranno di realizzare armi nucleari.

Il fatto che i controlli sulle esportazioni non si siano dimostrati capaci di prevenire la proliferazione nucleare da parte di paesi sufficientemente determinati potrebbe evidenziare una serie di problemi, tra cui:

le “trigger list” e gli elenchi di tecnologie a doppio uso non sono adeguati o aggiornati;

– la tecnologia per realizzare una semplice bomba a fissione è ormai così vecchia (anni ‘40) che è in realtà disponibile per tutti gli Stati che la vogliono, indipendentemente dagli sforzi che si possono fare per controllarla;

– i controlli sulle esportazioni non sono sufficientemente messi in pratica. I governi degli Stati fornitori chiudono un occhio nei confronti delle esportazioni delle proprie industrie, quando sono in gioco posti di lavoro o quando esistono intese (politihe o economicche) con lo Stato ricevente;

– forse è impossibile mettere in pratica controlli sulle esportazioni in grado di prevenire la proliferazione;

– forse i controlli sulle esportazioni possono solamente rappresentare una tattica ritardatrice;

– forse i controlli sulle esportazioni rischiano di contribuire alla proliferazione, dando risalto alle tecnologie importanti e aumentando il fascino delle armi nucleari come fossero un “frutto proibito”.

Gli effetti dei controlli

Nell’ambito dei vari fattori che intervengono nel determinare la proliferazione nucleare, i controlli sulle esportazioni si occupano solamente dell’offerta. Essi hanno applicazioni ed effetti variabili, ma possono aiutare a ridurre il flusso di tecnologie “delicate” ai paesi potenzialmente proliferatori. I controlli sono visti come chiaro tentativo degli Stati fornitori (non solo i NWS) di arrestare la proliferazione, e come tali essi trasmettono un incisivo messaggio politico.

Tale messaggio politico può benissimo avere un effetto anche sulla domanda. Gli Stati a favore delle misure di non proliferazione interpretano i controlli sulle esportazioni come un sostegno della loro politica. I controlli sulle esportazioni sono, quindi, sostenuti dalla maggioranza degli Stati.

Le difficoltà sorgono quando gli Stati – spesso a seguito di preoccupazioni nei riguardi delle loro intenzioni e del loro potenziale proliferativo – si sono visti rifiutare attraverso mezzi legali importanti tecnologie. Essi hanno allora varie opzioni: tentare di ottenere queste tecnologie attraverso altri mezzi legali, attraverso mezzi illegali, sviluppandole indipendentemente o interrompendo il progetto per il quale erano necessarie (quest’ultima opzione può essere lo scopo dei fornitori che hanno rifiutato l’esportazione). Ci possono essere casi nei quali il rifiuto della tecnologia potrebbe aver aumentato il desiderio di acquisire armi nucleari – sebbene sia improbabile che il rifiuto sia di per sé all’orgine della decisione di iniziare un programma di armamento atomico. Il rifiuto di una tecnologia legittima può indurre un senso di risentimento e di discriminazione, soprattutto quando la stessa tecnologia è facilmente a disposizione di altri Stati. Tale risentimento può indurre un senso di isolamento e conseguente paranoia – un fertile terreno di coltura per gli aspiranti proliferatori (3).

In generale, sebbene i controlli sulle esportazioni possano accrescere la determinazione con cui uno Stato decide di dedicarsi a un programma clandestino di armi nucleari, il desiderio di disporre di un armamento atomico ha origine precedentemente.

Alcune lezioni per il futuro

I controlli sulle esportazioni hanno il ruolo di accrescere le difficoltà che gli Stati e i gruppi terroristici devono superare per ottenere tecnologie “delicate”. I controlli sulle esportazioni, tuttavia, non possono bloccare un proliferatore che sia molto determinato e in possesso delle risorse tecnico/finanziarie necessarie per costruire armi nucleari. I controlli sulle esportazioni possono rallentare la proliferazione, sebbene il ritardo temporale sia destinato a diminuire con il passare del tempo, man mano che la tecnologia necessaria a realizzare una semplice bomba atomica diviene sempre più obsoleta.

I controlli sulle esportazioni influiscono solo sulla fornitura delle tecnologie e dei materiali importanti per la proliferazione. L’effetto sul versante della domanda sembra essere minimo. Proliferatori fortemente motivati sono stati in grado di sviluppare una capacità nucleare militare nonostante l’esistenza dei controlli sulle esportazioni. Tuttavia è importante che gli Stati fornitori controllino le loro esportazioni di tecnologie “delicate”. Rinunciare a questa responsabilità costituirebbe un segnale politico chiaro, un dare “carta bianca” alle parti interessate.

E’ anche importante che gli Stati fornitori agiscano in modo responsabile per quanto concerne le loro politiche di esportazione, perché la popolazione civile si renda conto che i governi non accettano tacitamente la proliferazione nucleare e non collaborano alla diffusione delle armi atomiche. Per conservare credibilità, i controlli sulle esportazioni devono essere aggiornati e non dovrebbero ancora includere articoli e attrezzature che possono venire facilmente acquistate ad uso civile e domestico nei paesi sviluppati (per esempio potenti personal computer).

Affinché i controlli sulle esportazioni possano essere più efficaci si deve fare attenzione anche al versante della domanda e non solo a quello della fornitura di tecniche e materiali per la proliferazione. In pratica, si dovrebbe andare incontro alle esigenze degli Stati che desiderano armi nucleari, cercando di aiutarli a ridurre le loro preoccupazioni in ambito della sicurezza, sia a livello globale sia a quello regionale e nazionale, riconoscendo le disuguaglianze insite negli accordi di non proliferazione e cercando di ridurle. Questo potrebbe essere ottenuto, ad esempio, mediante misure di disarmo nucleare, l’offerta di garanzie di sicurezza, o il riconoscimento di prestigio e status.

(Questo testo è stato presentato alla XIX edizione estiva Isodarco – International School on Disarmament and Research on Conflicts – tenuta a Candriai, Trento, 1998)

(traduzione di Nicoletta Bressan e Mirco Elena)

Note

1) Nuclear Suppliers Group: Memorandum of Understanding Implementing Guidelines for transfers of nuclear-related Dual-use Equipment, Material and Related Technology, April 3 1992, US Department of State 31 I.L.M. 1984 (1992)
Emily Bailey, Richard Guthrie, Darryl Howlett, John Simpson, Treaties, Agreements and Other Relevant Documents, Briefing Book Volume 2, Programme for Promoting Nuclear Non Proliferation (PPNN), 1998

2) Emily Bailey, Richard Guthrie, Darryl Howlett, John Simpson, The Evolution of Nuclear Non Proliferation Regimes, Briefing Book Volume 1, Programme for Promoting Nuclear Non Proliferation (PPNN), 1998

3) Vedi, per esempio, Vijay Sen Budhraj, The politics of transfer of nuclear technology: a case study of the Tarapur agreement, Australian Outlook, 1984

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