Il futuro ha bisogno di noi?

    George B. Dyson
    L’evoluzione delle macchine: da Darwin all’intelligenza globale
    Raffaello Cortina Editore
    pp. 391, £52.000

    Fenomeni come Hal 9000, il computer megalomane di “2001 Odissea nello spazio”, diventeranno mai realtà? Certamente sì, è la risposta che George B. Dyson, docente alla Western Washington University, dà indirettamente nel suo libro. E’ solo questione di tempo. Secondo lo scienziato americano, figlio del noto fisico Freeman Dyson, siamo testimoni poco coscienti, a volte espressamente contrari, della evoluzione in atto tra le macchine. Dove per “macchina” l’autore intende una vasta schiera di dispositivi meccanici e informatici, tutti in possesso di una proprietà donata loro dall’uomo, ovvero la capacità di veicolare informazioni ai suoi simili, di possedere un linguaggio, seppur rozzo. In breve: la capacità di comunicare.

    L’universo inanimato, almeno in teoria, che Dyson prende in considerazione ha come abitanti i personal computer che stanno sulla nostra scrivania, ma anche il frigorifero programmabile via Internet. Un universo a cui appartengono tutte le “cose” che possiedono il simulacro dell’intelligenza artificiale, il microprocessore, e la possibilità di connettersi alla Rete. Il termine ultimo della grande marcia degli organismi di silicio, e non solo, è una ragnatela di macchine estremamente interconnesse tra loro, con un’intensità di comunicazione che riesce a dare vita a un’intelligenza distribuita. Una mente i cui neuroni sono sparsi su tutto il globo terrestre.

    Per sostenere questa tesi, l’autore sviluppa un percorso narrativo che parte da lontano, dalla figura biblica del Leviatano, presente nel Vecchio Testamento, e rielaborata da Hobbes. “Il Leviatano di Hobbes”, si legge nelle prime pagine del libro, “era un organismo artificiale diffuso, articolato, più simile alle tecnologie e alle architetture computazionali che arriveranno con il nuovo secolo”. Una metafora che pervade tutto il volume. La narrazione segue gli eventi filosofici e tecnologici dei secoli che seguiranno il filosofo inglese. Un continuo dialogo tra avanzamento della tecnologia e impianto filosofico, che vuole dare alla silenziosa evoluzione delle macchine un cappello rassicurante per tutti coloro che nascondono nel loro animo profondo caratteri neoluddisti.

    Da questa prospettiva come si può giudicare il Progetto Seti@home? Si tratta del più eclatante esempio di calcolo distribuito: due milioni e mezzo di computer che decodificano i segnali provenienti dal radiotelescopio di Arecibo, alla ricerca di un segnale proveniente da extraterrestri intelligenti. Non può che essere l’archetipo di intelligenza distribuita. Secondo Dyson, l’evoluzione delle macchine segue le regole teorizzate molto tempo fa da Sir Charles Darwin per il mondo animale e vegetale. Anche tra gli esseri al silicio, e non solo, saranno solo quelli più adatti a sopravvivere. I più “intelligenti”.

    Niente paura comunque: le macchine non ci distruggeranno, ci hanno aiutato in momenti cruciali. Come accadde nella Seconda guerra mondiale, quando la macchina ideata da Alan Turing diede un aiuto fondamentale quanto i soldati al fronte, permettendo la decifrazione delle comunicazioni tra le truppe naziste. Questo l’epilogo di Dyson. Tutto a posto? Curiosamente, uno maggiori critici delle posizioni positiviste dell’autore è uno che di computazione distribuita, se ne intende: Bill Joy, cofondatore e responsabile del dipartimento ricerca e sviluppo di Sun Microsystems, ex dirigente della commissione presidenziale statunitense sul futuro della ricerca nell’Information Tecnology, e coautore delle specifiche del linguaggio Java.

    Nell’Aprile del 2000 su Wired, una delle riviste di punta della nuova era digitale, è apparso un lucido articolo di Joy, intitolato “Perché il futuro non ha bisogno di noi”. Il futuro di cui parla lo scienziato americano ha come personaggi esattamente quelli che ci descrive Dyson. Ma l’epilogo è l’opposto. Le macchine prenderanno il sopravvento e la specie umana rischia di scomparire nella competizione tra materia organica e inorganica. Come andrà a finire? Lo scopriremo solo vivendo.

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