Umberto Guidoni: “Ritorno nello spazio”

Nello spazio c’è già stato. Ma l’emozione è quella della prima volta: lo si capisce dal sorriso, dagli occhi che si illuminano al pensiero di ritornarci e all’idea di poter di nuovo guardare fuori dagli oblò per vedere, lontano nel buio, la sfera azzurra della Terra. Dopo tre anni di addestramento, Umberto Guidoni ha finalmente saputo che volerà di nuovo. E sarà forse l’unico europeo in un equipaggio di cinque membri, che porteranno sulla Stazione spaziale internazionale, in costruzione a 400 chilometri di quota, un modulo tutto italiano: una specie di autobus che farà avanti e indietro per portare sulla stazione orbitante approvvigionamenti, vestiario, altri pezzi della stazione da montare e gli strumenti per gli esperimenti da condurre in orbita, insomma tutto ciò che deve viaggiare in un ambiente pressurizzato. In quest’intervista, l’astronauta racconta l’attesa per la sua prossima missione.

Dottor Guidoni, come ha preso la notizia di questa nomina?

“Con grande entusiasmo. Dopo anni di addestramento di base, credo che questo annuncio rappresenti lo sbocco naturale delle mie aspettative e della speranza di poter partecipare a un progetto così importante. La missione durerà in tutto nove giorni, e sono sicuro che saranno giorni di intenso lavoro, ma questo non mi spaventa. Se tutto andrà come previsto, il lancio avverrà nell’aprile del 2000, e fino a quella data io e i miei colleghi dovremo sottoporci a un addestramento intensivo e mirato agli obiettivi della missione”.

Quale sarà il vostro compito preciso?

“Dovremo portare in orbita Leonardo, uno dei tre moduli progettati e costruiti dalla Alenia Spazio a Torino. Gli altri si chiamano Raffaello e Donatello, e tutti e tre si alterneranno nei viaggi verso la Stazione spaziale. Leonardo è un vero e proprio cargo, se così possiamo definirlo, che al suo arrivo verrà agganciato alle strutture della Stazione, diventandone un altro elemento. L’interno del modulo è pressurizzato. E’ un vantaggio notevole, perché durante i trasferimenti non avremo bisogno di uscite extraveicolari, e il materiale trasportato non dovrà essere protetto durante il trasbordo dal modulo all’interno della Stazione. Questo significa una riduzione dei costi, dei rischi e una maggiore praticità nel gestire tutte le operazioni. Con questo primo volo, oltre agli strumenti scientifici porteremo anche la consolle di comando realizzata dai canadesi. Servirà a controllare un braccio automatico montato all’esterno della Stazione, che permetterà di eseguire qualsiasi operazione di manutenzione e di supporto alle attività extraveicolari”.

Lei ha già volato sullo Shuttle. Non crede che, considerando i costi e i rischi che comportano i viaggi con equipaggio umano, sia meglio far volare solo sonde automatiche?

“Credo che le sonde automatiche non siano in contrapposizione con i voli con equipaggio. Si tratta piuttosto di scelte complementari: la flessibilità dell’uomo deve essere supportata da strumenti estremamente affidabili e “intelligenti”. A mio parere, la presenza dell’uomo nello spazio è insostituibile: so che questo significa un aumento dei costi, perché tutti i sistemi di gestione e controllo del mezzo devono essere moltiplicati per garantire la sicurezza in caso di guasto. Anche se i robot diventeranno sempre più autonomi, la presenza dell’uomo rappresenta comunque un valore aggiunto che arricchisce il lavoro fatto nel corso della missione. Prendiamo, per esempio, l’esplorazione di Marte: nessuno strumento, anche il più sofisticato, potrà mai avere l’intuito o l’esperienza che possono indurre uno scienziato a “scegliere” il luogo che, secondo le sue conoscenze, è il migliore per prelevare campioni di terreno. Lo stesso vale per strumenti molto sofisticati come il telescopio spaziale Hubble: se non fosse stato rivisitato dall’uomo, non sarebbe più uno strumento di punta come continua a essere”.

C’è qualcosa che nella sua prima missione non è riuscito a fare e che vorrebbe invece fare nella prossima?

“Sì, c’è una cosa che mi piacerebbe fare, ma che purtroppo non farò neppure in questa missione: una uscita extraveicolare. Galleggiare nello spazio senza essere protetti dalle pareti dello Shuttle o della Stazione spaziale deve essere una sensazione di libertà unica, irripetibile”.

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