Il Museo del Mondo

Il Museo del Mondo. Athanasius Kircher S.J.
Macchine Esoterismo Arte

Roma, Palazzo Venezia, 28 febbraio – 22 aprile 2001
Catalogo curato da E. Lo Sardo, Edizioni De Luca

Più nessuno oggi potrebbe tentare un museo del mondo. Cioè, nessuno potrebbe raccogliere in un unico luogo e al massimo livello del suo tempo, tutto il sapere. E nessuno potrebbe tentare di dominarlo.

La nostra specializzazione, progressiva e quasi inevitabile, ci fa provare invidia di fronte a personaggi come Athanasius Kircher S.J. Un uomo capace di essere influente in ogni area culturale, e per lungo tempo. Attivo nel Seicento, ancora un secolo dopo c’è chi si sente in dovere di criticare le sue ipotesi. E queste ipotesi vanno dalla matematica, di cui scrive già nel 1630 a 28 anni, all’astronomia, alla fisica, alla mnemotecnica, alle scienze della terra, alla linguistica, alla medicina, alla musicologia, alla storia naturale. Per lui, e per tutta la cultura dell’epoca, queste distinzioni disciplinari semplicemente non esistevano: tutto era parte di un unico corpus di sapere che formava l’uomo e il suo mondo.

Merito vada quindi a chi ha tentato, a quasi tre secoli di distanza, di rimettere insieme i resti del museo che il gesuita Kircher aveva formato nei suoi anni di residenza romana, dove visse gran parte della sua vita. Il museo fu fondato nel 1651, con il nome di Museo del Collegio Romano. Raccoglieva strumenti musicali, opere pittoriche importanti, reperti zoologici, fossili, macchine da lui stesso ideate, oggetti provenienti da tutto il mondo. Per questo risultò fondamentale la sua appartenenza alla Societas Jesus: la rete di missioni permise a Kircher di raccogliere materiale altrimenti impossibile da raggiungere. Dalla Cina o dal Nuovo Mondo, numerosi furono gli apporti che arricchirono la collezione.

Nelle sale troviamo allora strumenti astronomici, tavole astrologiche, carte geografiche, una mandibola di capodoglio, un coccodrillo impagliato, fossili, insieme a vestiti di nativi americani, a statuette africane, manufatti cinesi, e un’ottima selezione di quella che era la Pinacoteca del Collegio Romano. Negli anni in cui lo stesso Kircher curò il museo, fino alla sua morte, esso costituì un centro di attrazione culturale notevole, influenzando arti e scienze della città papale. Si trova traccia di lui nella fontana di Piazza Navona di Bernini, nelle incisioni di Piranesi, nell’obelisco della Minerva a Roma, mentre gli scritti del gesuita circolavano in tutta Europa, diffusi tra i colti di tutto il continente.

La mostra rende quindi bene l’aspetto enciclopedico, l’aspirazione universalistica di Kircher, e allo stesso tempo cerca di rendere (ma con alterne sorti) la meraviglia, lo stupore, che avrebbe colto il visitatore coevo. Certo, nel Novecento le emozioni arrivano più dalla Madonna del Lotto piuttosto che da un armadillo o da un coccodrillo. Perché anche questi avessero lo stesso effetto, vi era necessità di contestualizzare storicamente ogni pezzo: ma solo nel catalogo della mostra, ottimo e abbondante, questo riesce, grazie all’ottima scelta degli autori dei testi. Al contrario, il semplice visitatore si stupisce di fronte al lavoro sisifeo dell’uomo Kircher (“ma come avrà fatto a fare tutto questo!”), ma non riesce ad apprezzare l’importanza che il suo lavoro ha avuto per la cultura occidentale. La presentazione della mostra sembra quindi rispondere più a una vocazione collezionista, piuttosto che a una ricerca storica, e non riesce a coinvolgere lo spettatore. E questo nonostante i curatori abbiano svolto un ottimo lavoro di ricostruzione, in particolare con le macchine che lo stesso Kircher ideò, a reificazione della sua scienza. Ma laddove il museo era un inno al sapere, questa mostra è più un silenzioso monumento a Kircher.

Allo stesso tempo, è di immenso valore storico e storiografico il lavoro che è dietro a questa mostra (ma che non riesce ad essere veicolato), soprattutto per la difficoltà di reperire i pezzi del museo kircheriano dispersi una prima volta con il discioglimento della Compagnia di Gesù nel 1773, e poi di nuovo nel 1870, quando quello che rimaneva della collezione kircheriana venne ulteriormente disperso nei musei dell’università, e quindi di difficile accesso perché troppo frammentata.

La mostra solletica quindi la curiosità di chi storico è di mestiere, e che ha quindi gli strumenti per colmare le lacune; ma il semplice visitatore forse vorrebbe che fosse la mostra stessa a rispondere ai suoi dubbi. Rimane invece con l’impressione che questo Kircher fosse un gesuita, molto ricco, poliedrico, ma che probabilmente oggi sarebbe stato in giro per il mondo a mostrare donne barbute e nani più alti del mondo. Sappiamo che non è così, e allora perché non farlo capire a tutti?

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