Il prezzo della longevità

Il pianeta invecchia. Mezzo secolo fa si moriva poco prima dei cinquant’anni, oggi la durata media della vita è di 65 anni. E per il 2020, la popolazione anziana sarà aumentata dell’85%. Ci aspetta insomma un’esistenza più lunga. Ma a che prezzo ? Secondo il “World Health Report 1997 – Conquering suffering, Enriching humanity”, il rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che ogni anno fa il punto sullo stato di salute della popolazione del pianeta, questa “vittoria sulla vecchiaia” è in realtà una medaglia a due facce, e ci costerà cara. Il prezzo della longevità – si legge nel rapporto – si paga in termini di malattie croniche, quelle tipiche dell’età avanzata : cancro, malattie cardiocircolatorie, diabete, disturbi mentali, malattie reumatiche e osteoporosi. E dunque per molti, vivere più a lungo significherà “dolore e sofferenza, perdita delle capacità fisiche, discriminazione sociale”. E a pagare saranno soprattutto i paesi in via di sviluppo, che stanno prendendo, con tempi se possibile ancora più esasperati, la scivolosa china già intrapresa dai paesi industrializzati.

E’ quella che gli esperti chiamano “transizione epidemiologica” : e cioè quel cambiamento nei modelli di salute dove i paesi poveri ereditano i problemi a mala pena superati dai paesi ricchi. Questo significa, oltre alle singole malattie, anche gli effetti della diffusione di fumo, alcool e sostanze stupefacenti, dell’aumento dell’inquinamento e degli incidenti, della violenza, dello stress. D’altra parte, si tratta comunque di una doppia frontiera. Dopo averle ritenute sconfitte, le nazioni industrializzate devono oggi tornare a fare i conti con le malattie trasmissibili, dalla Tbc alla malaria, sino all’Aids : la “globalizzazione”, come si chiama oggi, implica una maggiore diffusione delle infezioni attraverso i trasporti, il turismo, il commercio. Contemporaneamente, i paesi in via di sviluppo, soprattutto quelli dalle economie in rapida crescita, si scoprono esposti alle tipiche “malattie del benessere”, pur dovendo ancora vincere la battaglia contro le malattie infettive, che ogni anno uccidono quasi 17 milioni di persone e ne colpiscono centinaia di milioni.

Sbaglia, insomma, chi crede che ad una maggiore “quantità di vita” corrisponda necessariamente una migliore “qualità della vita”. E così, più che in termini di anni in più o in meno, sarebbe bene cominciare a ragionare in termini di aspettativa di salute.

Quest’anno, al centro dei lavori dell’Oms sono dunque le malattie non trasmissibili, e cioè i disturbi cronici caratteristici dell’età avanzata. Già oggi cancro, infarto, diabete, disturbi mentali, sono responsabili di 24 milioni di morti ogni anno. Nei prossimi 25 anni, spiega il Rapporto, il numero di casi di cancro è destinato a raddoppiare : nella sola Europa, si prevede l’aumento del 33% nei casi di tumore al polmone tra le donne, e un aumento del 40% dei casi di tumore alla prostata tra gli uomini. Le malattie cardiovascolari, che attualmente rappresentano la principale causa di morte nei paesi industrializzati, diventeranno sempre più frequenti nei paesi poveri. Nel 2025 i casi di diabete risulteranno ovunque raddoppiati, e i disturbi mentali, in particolare la demenza, avranno una diffusione mai raggiunta in precedenza.

Tutte queste malattie sono, allo stato attuale delle conoscenze, difficilmente curabili. Proprio perché non trasmissibili, il loro trattamento è meno dipendente dall’intervento della comunità sociale. Ogni caso di malattia cronica rappresenta un carico per il singolo individuo, il quale, a seconda delle circostanze, può avere accesso o meno ad una terapia adeguata.

Ecco perché il Rapporto punta i riflettori su quelli che definisce “i rischi del vivere”. Raramente, infatti, le malattie croniche sono attribuibili ad un’unica causa. Spesso, piuttosto, è il complesso delle abitudini di vita ad aumentare il rischio di svilupparne una. Sono ormai più che noti i danni provocati dal fumo, da un eccessivo consumo di alcol, dalle abitudini alimentari scorrette, da una vita troppo sedentaria : e dunque questi “fattori di rischio” sono ben controllabili da chi ha ricevuto almeno i primi rudimenti di un’educazione sanitaria.

Ma vi sono altri fattori, meno noti e meno controllabili individualmente, sebbene altrettanto pesanti, sul piatto della bilancia: sono gli effetti della povertà, delle condizioni sanitarie insufficienti, dei rischi sul lavoro, di una vita passata in condizioni di miseria ed ignoranza. Per questi, e per quelli che dipendono dai singoli stili di vita, la parola d’ordine dell’Oms è quella della prevenzione : una campagna globale di educazione per incoraggiare modelli di comportamento più sani, con particolare attenzione ai bambini e agli adolescenti, maggiori finanziamenti alle politiche di sanità pubblica che sostengano i programmi di prevenzione, più attenzione alla diagnosi delle malattie non trasmissibili, più sostegno alla ricerca scientifica nel campo dello screening genetico per la scoperta delle malattie ereditarie.

Assicurare che il passaggio dalla vita alla morte accada in modo dignitoso, sereno e indolore, conclude il Rapporto, è una priorità non solo per la professione medica e per il settore sanitario. Ma deve essere l’obiettivo principale di ogni società, di ogni comunità, di ogni famiglia e di ogni individuo.

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