Categorie: Vita

Il primo batterio tutto virtuale

Nel 2010 Craig Venter stupì la comunità scientifica annunciando di aver creato la prima forma di vita artificiale: un batterio con un cromosoma completamente sintetico, assemblato a partire da alcune informazioni immagazzinate su un computer. Ma come apparirebbe una cellula se vivesse direttamente all’interno di un computer? Ovvero, è possibile tradurre i processi di divisione cellulare, le attività di dna,rnaproteine, enzimi e tutte le altre molecole che la caratterizzano in un insieme di algoritmi in grado di riprodurre in silico la controparte biologica? Secondo i ricercatori della Stanford University e, guarda caso, del J. Craig Venter Institute, sì, come spiegano su Cell

Gli scienziati, guidati da Markus Covert della Stanford University, hanno infatti per la prima volta simulato il ciclo vitale di un batterio al computer. Ossia hanno creato una sorta di microrganismo virtuale. Protagonista dell’esperimento è il Mycoplasma genitalium, un batterio con appena 525 geni. Scelta non casuale, visto che meno geni si hanno meno difficile è modellare il comportamento di una cellula al computer, e M.genitalium è il più piccolo organismo capace di vita autonoma, responsabile di alcune infezioni urogenitali. 

Come racconta il NewScientist il primo passo è stato quello di analizzare in dettaglio la letteratura, circa 900 studi, così da acquisire la conoscenza di tutti i processi molecolari che interessano il batterio. Successivamente gli scienziati hanno tradotto i comportamenti biologici in un linguaggio computazionale, scoprendo che per trasformare un batterio così semplice nella sua forma virtuale ci vogliono 128 computer e 28 algoritmi (connessi tra loro, con ognuno in grado di riprodurre un singolo processo biologico) così da descrivere tutti i meccanismi molecolari in atto all’interno della cellula. 

Per esempio, per simulare una singola divisione cellulare ci vogliono circa 10 ore durante le quali si genera circa mezzo gigabyte di dati, come spiega Covert sul New York Times: “Credo che questo sia davvero affascinante, perché non so di nessuno che abbia mai chiesto quanti dati un essere vivente davvero produca. Spesso pensiamo al dna come al magazzino dei dati, ma è chiaro che c’è più di questo”. 

Ma l’aspetto più affascinante dell’esperimento non è nella quantità di dati nascosti all’interno di tutti i processi cellulari, quanto piuttosto nelle potenzialità della tecnica. Infatti, avere a disposizione il modello completo di un’intera cellula permette agli scienziati di studiare meglio e più in fretta, per esempio, eventuali modifiche al genoma di un batterio e gli effetti derivanti. Evitando magari la produzione di forme pericolose per la salute. Questo perché la simulazione al computer tiene conto della cellula nella sua interezza, come insieme di geni, proteine, enzimi e quant’altro. Un passo avanti verso il cosiddetto computer-aided design (progettazione assistita dall’elaboratore) in bioingegneria per la progettazione di organismi con caratteristiche desiderate. 

Anche se è certo che riprodurre l’esperimento con un organismo relativamente più complesso, come E.coli, ampiamente usato nei laboratori, significherà aumentare a dismisura il livello di complessità, considerato che in questo caso i geni sono più di quattromila.  

via wired.it 

Credit immagine a AJC1

Anna Lisa Bonfranceschi

Giornalista scientifica, a Galileo Giornale di Scienza dal 2010. È laureata in Biologia Molecolare e Cellulare e oggi collabora principalmente con Wired e La Repubblica.

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  • Molto interessante, grazie per questa informazione ma soprattutto grazie per renderla così comprensibile anche a tutti noi, non scienziati. Complimenti ancora.

    danilo severnini

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