A distanza di trecento anni, nessuno strumento è ancora riuscito a riprodurre il suono dei violini fabbricati dai celebri maestri italiani tra il Diciassettesimo e Diciannovesimo secolo. Il segreto di Stradivari, però, sembra sia stato finalmente svelato ai liutai di tutto il mondo da un nuovo studio pubblicato su Plos One: la bellezza delle note dipende dal legno
Berend Stoel dell’Università di Leida (Olanda) e Terry Borman, liutaio statunitense di fama mondiale hanno sottoposto i violini leggendari agli scanner impiegati normalmente in medicina, e hanno trovato delle differenze in alcune caratteristiche del legno tra gli strumenti classici e quelli moderni. Prendendo spunto dalle tecniche di misurazione non invasiva degli organi umani, come la tomografia computerizzata, Stoel è riuscito a sviluppare un software in grado di misurare le proprietà del legno dei violini più antichi senza rischiare di danneggiarli (particolare rilevante, visto che il valore di alcuni di essi è di svariati milioni di euro).
Dall’esame ai raggi X effettuato su cinque violini antichi (quasi tutti Stradivari) e sette moderni, è risultato che a fare la differenza potrebbe essere, in particolare, la densità del legno: quello cremonese, impiegato nei violini antichi è, infatti, molto più omogeneo. Il grado di maggiore o minore densità del materiale, riferiscono gli autori dello studio, influisce direttamente sulla risonanza delle corde e sulle vibrazioni dell’intero strumento. I produttori di strumenti hanno ora un’informazione preziosa, da testare in attesa del prossimo studio. (ga.c.)
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