Il solito, grazie

Le cucine regionali, autoctone e tipiche, sono considerate sempre più a rischio per effetto della globalizzazione. Ma uno studio, pubblicato sul New Journal of Physics dai ricercatori del  Dipartimento di Fisica e Matematica dell’Università di Sao Paulo (Brasile), rivela che le cucine locali sono “invarianti” nel tempo, e che gli ingredienti tradizionali sanno difendersi da soli.

La globalizzazione è un processo di convergenza sociale ed economica che, a seguito degli aumentati scambi culturali e commerciali, coinvolge stati industrializzati e in via di sviluppo. Una grave conseguenza di questo fenomeno è,  secondo i sociologi, il processo di omologazione che appiattisce le diversità tra i vari paesi, affievolendo la ricchezza culturale legata agli usi e ai costumi locali.

Per verificare se la cucina tradizionale è soggetta a cambiamenti significativi nel corso del tempo e se le differenze tra le cucine regionali si conservino o meno, i ricercatori hanno effettuato due tipi di analisi matematico-statistiche. “In primo luogo”, spiega Joe Winters, uno degli autori dello studio “abbiamo scelto un campione significativo di ricette brasiliane e abbiamo verificato come la cucina si è evoluta nel tempo (approccio longitudinale). Successivamente abbiamo fatto una comparazione tra stati, confrontando le ricette brasiliane con quelle britanniche e francesi (approccio trasversale)”.

Per l’approccio longitudinale gli studiosi hanno considerato numero di ingredienti, dosi  e numero di ricette presenti in una pubblicazione gastronomica ufficiale del Brasile, “Dona Benta”, comparando le edizioni del 1946, del 1969 e del 2004. Il risultato è chiaro: l’uso di ingredienti chiave, come il chayote (una pianta edule copiosamente utilizzata in America Centrale e Meridionale), non varia né per frequenza, né per quantità.

Per l’approccio trasversale, i ricercatori hanno considerato le stesse variabili, aggiungendo le informazioni  riportate sulla guida gastronomica ufficiale inglese, “New Penguin Cookery Book”, e francese, “Larousse Gastronomique”. Un programma ad hoc, ha assegnato un punteggio a ogni ingrediente in base al suo grado di utilizzo, rilevando che gli ingredienti variano significativamente nelle tre cucine e che ogni paese mantiene le sue “idiosincrasie culinarie”. L’aspetto più interessante è che l’invarianza nelle tradizioni culinarie nel tempo si verifica anche quando gli ingredienti autoctoni rendono meno di  quelli di importazione. L’uso degli ingredienti  delle ricette originarie non solo resta ‘congelato’ nella cultura locale, ma è preferito e continua a diffondersi nonostante gli evidenti svantaggi.

Alla fine, che si tratti di pasta all’italiana, riso cinese, patate irlandesi, crauti tedeschi, banane del Ghana o pesce giapponese per il sushi, sembra che la globalizzazione non abbia sostanzialmente modificato le abitudini alimentari regionali e gli ingredienti di base utilizzati in ogni paese. Con buona pace degli amanti del macrobiotico. (i.n.)

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