Il sostegno che c’è

In mancanza di una legge specifica – quella che il Parlamento non riesce neanche a discutere – come fa un cittadino ad avere la garanzia che le proprie volontà di fine vita siano rispettate? Un modo c’è e si chiama “amministrazione di sostegno”: si tratta di nominare una persona di fiducia che possa portare avanti le nostre volontà nel momento in cui non saremo in grado di farlo da soli. Anche per quanto riguarda i trattamenti medici. Come ha recentemente fatto un cinquantenne di Modena che ha nominato sua moglie amministratore di sostegno: sarà lei, nel caso suo marito si trovasse allo stato terminale a causa di una lesione traumatica cerebrale irreversibile e invalidante, o di una malattia che lo costringesse a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali, a evitare per lui la rianimazione cardiopolmonare, la dialisi, la trasfusione, la terapia antibiotica, la ventilazione, l’idratazione o l’alimentazione forzata e artificiale. Una decisione avallata il 5 novembre scorso da un giudice del Tribunale di Modena.

A seguire legalmente la coppia modenese è stata Maria Grazia Scacchetti, avvocato e docente di Istituzioni di diritto romano dell’Università di Modena e Reggio Emilia che, insieme a diverse associazioni (Forum Associazione donne giuriste, Associazione Luca Coscioni, Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori, Consulta di bioetica onlus, Associazione Liberauscita, Associazione Gruppo donne e giustizia Modena), promuove la diffusione di questo strumento legale.

Avvocato Scacchetti, come si può nominare un amministratore di sostegno?

Prima di tutto si deve redigere una scrittura privata, adattando il modulo che si trova on line, inserendo i propri dati, designando la persona che sarà l’amministratore di sostegno e indicando la propria volontà nel caso in cui non si potesse più esprimerla da soli. Successivamente la si deve portare da un notaio per farla autenticare. Alcuni notai veneti e fiorentini si sono resi disponibili a farlo con contributo simbolico di un euro. Fatto questo, si deve ricorre al Tribunale del luogo in cui si ha la residenza o il domicilio, sempre adattando il documento in rete, e si deve attendere che il Giudice Tutelare convochi un’udienza per ascoltare le parti. Infine, il giudice emette un decreto esecutivo che garantisce le opinioni della persona: l’amministratore, presentando il decreto, negherà ai medici il consenso a praticare quelle terapie salvifiche che il malato aveva dichiarato di non volere. E questa persona può essere un familiare o chiunque sia reputato degno della piena fiducia da parte della persona, come un convivente o un amico.

Il procedimento è automatico?

Una volta emesso il decreto il medico non può andare contro le volontà del malato, altrimenti potrebbe essere accusato di lesioni colpose. Solo i parenti più stretti potrebbero impugnare il decreto. La decisione finale, però, è lasciata alla discrezione del giudice, che potrebbe rifiutare di emettere il decreto, anche se esiste sempre la possibilità di fare ricorso. Da quando è stata approvata, la legge 6/2004 sull’amministrazione di sostegno ha sempre funzionato, in ambito patrimoniale o personale, e diversi giuristi si sono espressi favorevolmente alla sua applicazione per i temi della fine della vita. Se si diffondesse il ricorso a questo strumento potremmo trovarci davanti a un fenomeno di migrazione: le persone che se ne volessero avvalere potrebbero cambiare la loro residenza e spostarla dove si trova un giudice  favorevole al decreto. Per ricorrere a un certo Tribunale basta infatti avere il domicilio nell’area di sua competenza.

Se Eluana Englaro avesse avuto la possibilità di nominare suo padre amministratore di sostegno, sarebbe morta sedici anni fa?

In presenza di un decreto esecutivo di un Giudice Tutelare, il caso Englaro non sarebbe esistito. Anche nell’eventualità in cui i medici intervengano, per esempio con una tracheotomia, in assenza dell’amministratore, non appena le volontà di questa persona fossero state rese note, il trattamento verrebbe sospeso. Purtroppo, però, la legge è nata solo nel 2004.

Mettere a punto una legge sul testamento biologico sarebbe quindi inutile?

In teoria esiste già lo strumento legale per avere garantite le proprie volontà ed è l’amministrazione di sostegno. Il problema di tutti i disegni di legge sul testamento biologico presentati in Parlamento è che si basano troppo sulla figura del medico. È il medico l’unico a stabilire se si sia di fronte a un accanimento terapeutico o se un certo trattamento sia inutile a salvare la vita a un paziente. Con l’amministrazione di sostegno, invece, al paziente è lasciata totale libertà di scelta nell’accettare o rifiutare determinate cure.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here