Da anni sono utilizzate per analizzare le dinamiche di popolazione del pinguino reale. Eppure, uno studio pubblicato su Nature solleva dubbi sull’uso delle targhette di identificazione che permettono ai ricercatori di seguire questi uccelli. Secondo un gruppo di biologi, coordinato da Yvon Le Maho dell’Università di Strasburgo, in Francia, le targhette danneggiano infatti i pinguini, e falserebbero anche gli studi che indagano le interazioni tra gli animali e l’ambiente.
La maggior parte dei dati sulla biologia dei pinguini reali (Aptenodytes patagonicus) è stata raccolta grazie alle targhette identificative applicate sulle ali degli uccelli per riconoscere e monitorare i singoli individui. Alcuni studiosi giudicano questo metodo di raccolta dati poco efficace e nocivo alla vita dei pinguini stessi. La questione, oltre che di natura etica, ha una rilevanza scientifica: i pinguini reali sono gli “indicatori” privilegiati per giudicare l’impatto dei cambiamenti climatici sulle comunità animali. Essendo predatori, infatti, sono molto sensibili alle variazioni nella disponibilità e distribuzione delle risorse alimentari, che a loro volta dipendono dalle temperature.
I ricercatori hanno analizzato i dati raccolti in 10 anni nell’arcipelago sub-antartico delle Isole Crozet su due gruppi di pinguini monitorati: 50 muniti di targhette identificative, 50 sprovvisti. Hanno così scoperto che i primi avevano un tasso di sopravvivenza più basso del 16% rispetto agli altri, e partorivano un numero di piccoli inferiore del 39% rispetto alla media. In effetti, gli studiosi hanno trovato che le targhette ostacolano il nuoto, con il risultato che i pinguini “taggati” impiegano più tempo ed energia per cercare cibo e arrivano più tardi ai siti riproduttivi.
Influendo negativamente sulla sopravvivenza e sulla riproduzione degli animali, le targhette identificative amplificano gli effetti negativi dei cambiamenti climatici. Motivo per cui non sembra affidabile valutare gli effetti del surriscaldamento globale sugli ecosistemi marini utilizzando tale metodo di raccolta dati. Un’evidenza che può emergere solo da studi a lungo termine, come questo decennale.
Riferimenti: Nature doi:10.1038/nature09630
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