Per millenni l’Egitto e la sua cultura sono stati avvolti da un alone di mistero, suscitando un fascino irresistibile. Le sue piramidi, i geroglifici e la storia dei suoi faraoni sono tuttora oggetto di studio. Ma il mistero che gli egittologi devono ancora risolvere è quello che riguarda le origini di questo popolo, che nel giro di pochi decenni è stato in grado di far fiorire una grande civiltà. Ed è a questo tema che la mostra “Kemet, alle sorgenti del tempo. L’antico Egitto dalla preistoria alle piramidi” è dedicata. La mostra, che potrà essere visitata dal primo marzo al 28 giugno al museo nazionale di Ravenna, si avvale di un comitato scientifico internazionale formato dai più grandi egittologi del mondo, con il coordinamento di Anna Maria Donadoni Roveri, direttrice del museo egizio di Torino.
Kemet, che in egiziano vuol dire “Terra nera”, indica le zone desertiche dove sono state rinvenuti i primi segni di questa civiltà. E’ in queste regioni che avvenne il passaggio dal neolitico alla storia documentata. A differenza di altre civiltà, che si sono evolute gradualmente nel passaggio dal neolitico all’epoca di massimo sviluppo della cultura, l’Egitto si è proiettato improvvisamente dalla preistoria – dal tremila avanti Cristo – al futuro, senza tappe intermedie. E’ un popolo che sembra nascere dal nulla, con una civiltà già maturità.
Il percorso dell’esposizione si snoda nel periodo compreso tra il 5000 al 2500 avanti Cristo, dalle epoche pre-dinastiche fino ai primi re, per arrivare alle grandi piramidi e all’età d’oro menfita..Gli oltre 400 reperti oggi esposti in Italia provengono da decine di musei ed istituzioni, tra cui il British Museum di Londra e lo Staatliche Museen di Berlino. Si tratta di oggetti preziosissimi, come la famosa “Paletta della battaglia”, il tessuto più antico, datato seimila anni fa, e diversi papiri millenari. Ma si possono vedere anche i ritratti di Chefren, teste di leoni, statue rare di diorite e di alabastro.
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