Il vitale riciclo delle proteine

Riciclare i rifiuti, i prodotti inutilizzati o quelli difettosi è un abitudine recente, nata dalla spinta delle grandi campagne di sensibilizzazione e della paura di montagne di rifiuti pronte ad invadere il nostro habitat. Per le nostre cellule, invece, non è così: è un meccanismo acquisito fin dalla nascita ed è una parte fondamentale del loro metabolismo. Lo confermano due ricerche indipendenti del team americano diretto da Jonathan Yewdell, del National Institute of Allergy and Infectious Diseases (http://www.niaid.nih.gov), e dalla squadra dell’olandese Jacques Neefjes, del Netherlands Cancer Institute (http://www.nki.nl/index_e.htm). Entrambe sono state pubblicate su Nature.

Yewdell ha mostrato che la produzione di proteine all’interno delle cellule avviene ad alta velocità, a scapito dell’efficienza del processo. In altre parole, le cellule preferiscono produrre una grande quantità di proteine – anche “sbagliate” – e poi riciclare gli scarti di produzione. E infatti il 30 per cento delle proteine vengono giudicate difettose dal “centro di controllo qualità” cellulare e inviate al meccanismo di riciclo.

Il processo ha inizio quando la doppia elica del Dna della cellula si apre, permettendo quindi di copiare le informazioni genetiche in essa contenute. Queste vengono trascritte sull’Rna messaggero (m-Rna). Una volta completata la trascrizione, l’m-Rna attraversa il citoplasma e arriva ai ribosomi dove viene “letto”. Qui, con l’aiuto di un altro tipo di Rna – il transfer Rna ( t-Rna ) che ha il compito di trasportare i singoli aminoacidi che formeranno la proteina in costruzione – ha inizio la concatenazione, cioè la formazione della proteina. Fin qui il processo ha una grande efficienza e gli errori sono molto bassi. Alla fine di questo passaggio interviene il “controllo di qualità” della cellula. Ed è proprio in questa fase che Yewdell ha osservato lo scarto – in media – del 30 per cento di proteine difettose. Questa alta percentuale di errore sarebbe allora imputabile, secondo lo scienziato americano, all’elevata velocità con cui avviene del processo di sintesi.

Neefjes ha scoperto invece come l’organismo decide di riciclare i rifiuti: le cellule dei mammiferi userebbero le proteine difettose per addestrare i linfociti T – che insieme agli altri leucociti assicurano la risposta del sistema immunitario – al riconoscimento dei virus. Le proteine giudicate “fasulle” vengono infatti legate a una molecola chiamata ubiquitina, che le conduce al luogo di riciclo, il proteasoma. A questa struttura cellulare arrivano anche le proteine che hanno passato il controllo di qualità ma, esaurito egregiamente il loro compito, sono diventate troppo vecchie per continuare a funzionare.

Il riciclo prevede due vie: le proteine vecchie o difettose vengono “smontate” o nelle loro unità costituenti – gli aminoacidi, che rientreranno in gioco in un altro processo di sintesi – oppure in polipeptidi, ovvero catene di amminoacidi che non hanno un ruolo attivo nella vita della cellula (sono quindi poco usurate) e che vengono mandati a istruire i linfociti T su come riconoscere i virus. Il processo è piuttosto complicato: le catene polipeptidiche riciclate fuoriescono dal proteasoma e vengono legate a un vettore chiamato Tap (Transporter associated with Antigen Processing). Il Tap le trasporta all’interno del reticolo endoplasmatico e, una volta raggiunta la membrana cellulare, si dissocia dal polipeptide affidandolo al Mhc (Major Histocompatibilty Complex). Questa molecola espone il polipeptide all’esterno della cellula, simulando l’attacco di un virus. Il linfocita T viene così “allenato” alla risposta immunitaria prima di una reale infezione.

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