In rete per salvare il pianeta

Il rapido aumento di concentrazione atmosferica dei gas a effetto serra, dovuto soprattutto alle emissioni di origine antropica, è l’evento chiave che sta alla base dei cambiamenti climatici e dei cambiamenti globali in atto. La ricerca scientifica dell’ultimo decennio si è posta il molteplice obiettivo di conoscere e descrivere quali sono gli effetti e le conseguenze di questo aumento sul sistema climatico a scala globale e regionale (vedi articolo di Sandro Fuzzi, in questo dossier), di sviluppare nuove tecnologie e strategie per una sostanziale riduzione delle emissioni e di analizzare e prevedere l’impatto che il cambiamento globale potrà avere sulla società umana e sull’ambiente. Ma poiché atmosfera, clima e biosfera terrestre sono entità profondamente legate fra loro, sarebbe più corretto dire, anche alla luce dei più recenti sviluppi della ricerca, che la scienza sta cercando oggi di impadronirsi di conoscenze che riguardano il Sistema Terra nel suo complesso, ovvero dei meccanismi e delle interazioni bi-direzionali che avvengono fra atmosfera e biosfera; il clima modifica molti processi biosferici e questi processi, a loro volta, possono modificare il clima.

L’idea che la biosfera giochi un ruolo fondamentale nella dinamica e nella regolazione del Sistema Terra non è certamente nuova. Sono stati dei “processi biologici” che hanno reso l’ambiente terrestre dapprima compatibile con la vita nelle forme che conosciamo oggi e poi altri processi biologici lo hanno reso “sostenibile”. La biosfera ha un ruolo fondamentale nel regolare quei fattori fisici che rendono la Terra un posto assolutamente unico rispetto a ogni altro corpo celeste che sia stato osservato fino a ora. E così diventa impossibile parlare, per esempio, di “clima” trascurando l’influenza che la biosfera ha su di esso. E che biosfera e atmosfera siano intimamente legate fra loro è sempre più evidente. Basti pensare al ruolo chiave della vegetazione terrestre e marina nei cicli globali del carbonio, dell’azoto e dell’acqua, o, più in piccolo, analizzare le conseguenze che la deforestazione ha avuto in molti casi sul clima locale di una certa area o quale possa essere l’effetto della presenza o dell’assenza del “verde” in un contesto ambientale urbano. In questo articolo avrò occasione di analizzare alcuni fenomeni che avvengono all’interfaccia fra biosfera e atmosfera, un dominio studiato nell’ambito della “biometeorologia” e della “bioclimatologia”. E i miei obiettivi sono quelli di descrivere, in sintesi, alcuni processi fondamentali che avvengono a livello della vegetazione terrestre, di chiarire meglio dove siano situate, oggi, le frontiere fra ricerca biologica, ecologica e fisica e dove queste discipline devono trovare punti di contatto e di analizzare criticamente, infine, una serie di quesiti fondamentali.

E tutto questo ovviamente riferito a quel cambiamento ambientale globale che è sempre di più in primo piano nell’agenda degli organismi internazionali e delle nazioni e che è ogni giorno sempre più percepibile da ognuno di noi. Fotosintesi, respirazione e traspirazione Per poter comprendere ciò che avviene all’interfaccia fra biosfera e atmosfera è necessario disporre di qualche nozione fondamentale di fisiologia vegetale e ambientale. Esistono leggi e meccanismi biologici che controllano lo scambio gassoso che avviene fra vegetazione e atmosfera che ci consentono di capire il ruolo di “regolatore” della biosfera. La fotosintesi è un complesso processo biochimico che è alla base dell’organicazione del carbonio, ovvero della trasformazione del carbonio inorganico presente nell’atmosfera in carbonio organico. In estrema sintesi, la fotosintesi utilizza l’energia radiante del Sole per ridurre l’anidride carbonica in zuccheri.

Se consideriamo una singola foglia di una pianta superiore, possiamo sperimentalmente osservare che il tasso di assimilazione della CO2 atmosferica di ogni centimetro quadro di superficie fogliare varia con l’intensità della luce, con la concentrazione ambientale di CO2 e con la temperatura e il deficit di pressione di vapor d’acqua (in pratica l’umidità) dell’aria ed è severamente limitata dalla disponibilità di elementi minerali nutritivi (l’azoto in particolare) e dalla disponibilità di acqua. Lo scambio gassoso fra la foglia e l’atmosfera avviene attraverso delle piccole cavità che si trovano sulla superficie della foglia (stomi) e la cui apertura è regolabile. Aprendo o chiudendo gli stomi, la foglia aumenta o diminuisce, a seconda delle condizioni ambientali, la resistenza offerta allo scambio gassoso configurando così una serie di relazioni dipendenti fra fattori fisici e biologici attraverso cui essa ottimizza l’acquisizione di carbonio dall’atmosfera e la traspirazione.

È infatti attraverso gli stomi che avviene tutto lo scambio gassoso della foglia ovvero l’ingresso di anidride carbonica e l’uscita di vapor acqueo.Le curve di risposta alla luce e alla concentrazione esterna di anidride carbonica (CO2) di una foglia hanno andamenti caratteristici e tendono entrambe a saturare oltre un certo limite (Fig. 1). Il tasso di assimilazione di CO2 raggiunge un massimo una volta raggiunto un certo livello di irraggiamento e oltre questa soglia l’eccesso di energia radiante che viene assorbita dai tessuti, deve essere dissipata sotto forma di calore, di energia biochimica o sotto forma di fluorescenza. Questo tipo caratteristico di risposta alla luce dipende dalla resa quantica iniziale del sistema fotosintetico, ovvero dalla capacità di trasporto di elettroni verso la reazione finale e poi, nella zona di saturazione, sia dal tasso di carbossilazione (riduzione della CO2 da parte di un enzima specifico) o dal tasso di rigenerazione del substrato biochimico della reazione. Il tasso di assimilazione di CO2 aumenta anche all’aumentare della concentrazione ambientale (o atmosferica) di CO2.

In questo caso l’assimilazione viene espressa come funzione della concentrazione intracellulare di CO2 (Ci) il cui rapporto con la concentrazione atmosferica di CO2 (Ca) dipende dalla conduttanza (o resistenza) stomatica. A parità di radiazione e temperatura, un aumento di resistenza stomatica causa una riduzione del rapporto fra concentrazione intercellulare e concentrazione atmosferica di CO2 (Ci/Ca) e, a seconda del valore caratteristico di Ca, una maggiore o minore riduzione di assimilazione (Fig. 1). Questa risposta caratteristica della foglia a Ci dipende da una particolarità dell’enzima responsabile della carbossilazione (Rubisco, Ribulosio bifosfato co-carbossilasi) che ha affinità sia per la anidride carbonica (carbossilazione) che per l’ossigeno (ossigenazione). Man mano che il valore di Ci sale, in risposta a un corrispondente aumento di Ca, la Rubisco ha una maggiore probabilità di effettuare una reazione di carbossilazione anziché di ossigenazione e questo porta a un aumento del tasso netto di assimilazione di CO2.

Nella fase saturante, invece, è la rigenerazione del substrato accettore del carbonio che diventa limitante impedendo un ulteriore aumento dell’assimilazione con l’aumentare della concentrazione di anidride carbonica. Entrambe le curve caratteristiche di risposta alla luce e alla concentrazione di CO2 (Fig. 1) mostrano che l’assimilazione netta della foglia diventa zero prima che la radiazione diventi nulla o prima che la concentrazione di anidride carbonica raggiunga un valore prossimo allo zero. Ciò indica che parte della CO2 che viene assimilata nel processo fotosintetico viene “respirata” ovvero ri-emessa dalla foglia. Questa respirazione fornisce energia ai processi di mantenimento e di sintesi (accrescimento) del sistema biologico ed è un elemento fondamentale di tutto il processo di assimilazione di una pianta.La traspirazione è un fenomeno caratteristico delle forme vegetali superiori, anche se esso avviene con modalità e meccanismi che variano fra le specie.

In questo caso, lo scambio gassoso fra vegetazione e atmosfera consiste in una perdita di vapor acqueo da parte della pianta, che è in grado di estrarre acqua dal terreno e trasferirla verso l’ambiente circostante. La disponibilità di acqua nel terreno e il deficit di pressione di vapore acqueo dell’atmosfera hanno ruoli di fondamentale importanza per la traspirazione. E proprio grazie alla traspirazione, la vegetazione terrestre assume un ruolo chiave nella regolazione del bilancio energetico superficiale. Detto in termini molto semplificati, la presenza o meno di una copertura vegetale determina infatti una grande differenza nella ripartizione dell’energia solare in ingresso. I pigmenti fotosintetici delle foglie assorbono una quota importante di radiazione per trasformarla in zuccheri e ciò modifica le proprietà ottiche della superficie (albedo) ovvero la frazione di luce incidente che viene riflessa verso l’atmosfera. La traspirazione trasforma parte dell’energia incidente in calore latente e così, mentre una superficie di suolo nudo può causare, in certe condizioni, un sostanzialmente riscaldamento dell’aria, la presenza di vegetazione può determinarne, invece, un significativo raffreddamento.

Le conseguenze della presenza o assenza di vegetazione sulla superficie terrestre sono avvertibili dalla piccola alla grande scala. La presenza di superfici verdi rende più piacevole e fresco il clima nelle zone calde, regola la quantità di umidità presente nell’atmosfera a scala continentale, determina fenomeni di retroazione che portano alla modifica dei regimi di precipitazione. E per avere una sensazione di quale sia il ruolo della vegetazione terrestre basta confrontare, per esempio, i climi dell’Amazzonia con quelli delle aree desertiche centro-africane: due regioni che pur trovandosi alle stesse latitudini hanno climi che risentono in modo netto della presenza o meno della vegetazione. Si può già intuire il paradosso che è l’assenza di vegetazione che determina il clima desertico anziché il contrario. Ne deriva che quei meccanismi biologici vegetali a cui ho appena accennato, svolgono una funzione chiave per l’intero Sistema Terra.

Il ciclo del carbonio

La concentrazione di anidride carbonica nella nostra atmosfera ha raggiunto forse il valore più alto degli ultimi 25 milioni di anni e sta continuando a crescere a una velocità che sicuramente non si è mai verificata prima sul nostro pianeta. La causa di tutto questo sono le emissioni antropiche e soprattutto l’uso di combustibili fossili. L’es-sere umano, usando il combustile fossile, non fa altro che riemettere nell’atmosfera quello che la vegetazione di milioni di anni fa le aveva sottratto e “sequestrato” in colossali giacimenti organici sotterranei. Ma anche la crescente antropizzazione del pianeta e la variazione nell’uso del suolo (land use change), contribuisce all’aumento di concentrazione atmosferica di CO2. Anche in questo caso l’essere umano perturba il sistema riemettendo in atmosfera quello che la biosfera terrestre aveva prima “sequestrato”. Bastano una osservazione riferita al nostro paese e due semplicissimi calcoli per dare una dimensione a questo fenomeno: a seguito dello sviluppo dell’agricoltura, avvenuto nell’ultimo secolo, molti terreni forestali sono diventati oggi, terreni agricoli.

Le lavorazioni e le gestione del suolo, in generale, hanno causato una perdita significativa di quella sostanza organica che era contenuta nel terreno. Così, la media dei suoli agrari italiani contiene oggi circa lo 0,9 per cento di sostanza organica contro il 2-3 per cento dei terreni originari (fonte: Istituto per la Conservazione del Suolo, Ministero Agricoltura e Foreste). Il cambio di destinazione d’uso del suolo da bosco a terreno agrario ha cioè ridotto di circa un terzo, in pochissimi anni, il contenuto in carbonio organico del terreno. Rapportata ai circa 18 milioni di ettari di superficie agricola presente oggi sul territorio nazionale, si può stimare che questa emissione netta di CO2 sia stata dell’ordine di nove miliardi di tonnellate, avvenuta in meno di un secolo.Ma è ormai accertato che solo il 40 per cento delle emissioni di origine antropica si accumulano effettivamente nell’atmosfera contribuendo a far crescere la concentrazione media di CO2. Terra e oceani hanno infatti la capacità di assorbirne il rimanente 60 per cento. Capacità di assorbimento che ammonta, in termini assoluti, a circa quattro miliardi di tonnellate di anidride carbonica, ogni anno. Studi recenti fanno supporre che questo assorbimento avvenga essenzialmente in un’area temperata al Nord dei tropici ma, di fatto, la nostra comprensione di questi fenomeni alla scala globale è ancora molto incerta.

Certo è invece il fatto che la biosfera terrestre ha una funzione cruciale rispetto al ciclo globale del carbonio ed è importante capirne la dinamica e quantificarne la dimensione. La stima dell’assorbimento di anidride carbonica da parte della biosfera terrestre e marina richiede però uno sforzo scientifico che ha pochi precedenti nella ricerca. Fino a oggi sono state sviluppate diverse tecniche per raggiungere questo ambizioso obiettivo: metodi inventariali, misure diretta dei flussi di gas a scala di ecosistema o a scala regionale, metodi di inversione atmosferica e applicazioni specifiche di telerilevamento da satellite.I metodi inventariali si basano sull’analisi di dati esistenti relativi alla superficie occupata da determinate classi di uso del suolo e alla loro produttività media. La misura diretta dei flussi prevede, invece, l’uso della tecnica micrometeorologica detta della “correlazione turbolenta” che serve a misurare direttamente lo scambio netto di CO2 (NEE, Net Ecosystem Exchange), ma anche di vapor acqueo e di calore, che avviene fra la superficie terrestre e l’atmosfera. In sintesi, una stazione di misura che utilizza questa tecnica si basa su una struttura, più convenzionalmente detta “torre”, che viene posta a una certa altezza al di sopra della vegetazione (Fig. 2).

Questa torre è attrezzata con un anemometro sonico in grado di misurare ad alta frequenza (da 10 a 20 volte al secondo), la velocità verticale del vento (W) e un analizzatore veloce di concentrazione di CO2 e vapor acqueo che è anch’esso in grado di fare da 10 a 20 letture al secondo. La correlazione fra W e la concentrazione istantanea degli scalari è di per sé una misura del trasporto turbolento che è alla base dello scambio gassoso che avviene fra copertura vegetale e atmosfera. Il principio è abbastanza semplice e si basa sul fatto che se la vegetazione, e l’ecosistema, assorbono CO2, l’aria che sale verso l’alto (W positivo) deve essere più povera in CO2 di quella che scende (W negativo). L’opposto avviene quando l’ecosistema “respira” emettendo cioè più CO2 di quanta non ne assorba.La Commissione Europea ha finanziato, nell’ultimo decennio, la creazione di una rete continentale di stazioni di misura che è stata coordinata fin qui da ricercatori italiani e la cui distribuzione geografica è mostrata in figura 4.

Ognuna di queste stazioni opera per 24 ore al giorno e per 365 giorni all’anno rilevando i flussi di anidride carbonica, vapor acqueo (calore latente), calore sensibile, ogni 30 minuti. L’integrazione nel tempo di questi valori consente di avere una misura dello scambio netto di gas che è avvenuto stagionalmente o annualmente fra la vegetazione di ogni area di studio e l’atmosfera. L’Italia contribuisce alla rete con 19 stazioni fisse dislocate sull’arco alpino e sull’Appennino e in diverse zone agricole e pascolive del Nord, del Centro e del Sud del paese. Un recente sviluppo nella tecnica di misura diretta dei flussi è stato ottenuto con l’introduzione di una innovativa piattaforma area (Fig. 3) che è in grado di effettuare misure di flusso volando a bassa quota sopra i diversi tipi di uso del suolo. Questo aereo, chiamato Sky Arrow ERA (Environmental Research Aircraft) è il prodotto di una collaborazione scientifica fra Italia e Stati Uniti ed è stato già impiegato con successo in programmi di ricerca europei.

La novità dell’approccio è quella che lo Sky Arrow è in grado di fare le stesse misure che vengono fatte su una torre, ma a scale territoriali di centinaia di chilometri, anziché di centinaia di metri.I metodi basati sull’inversione di dati di concentrazioni atmosferiche di CO2, infine, si basano su misure effettuate all’interno dello strato limite atmosferico e nella troposfera libera per calcolare, secondo procedure iterative, quale sia stato il contributo, o il flusso, della superficie terrestre. A titolo d’esempio, modelli di inversione sono stati utilizzati per interpretare differenze di concentrazioni atmosferiche di CO2 fra stazioni poste nella zona atlantica dell’Europa e nell’area orientale del continente. L’assorbimento di CO2 da parte della biosfera terrestre viene poi calcolato come delta di concentrazione una volta sottratto il contributo medio dell’emissione antropica. Vista l’efficacia di queste misure e la loro capacità di integrare il dato di flusso su grandi superfici, l’Unione Europea ha recentemente deciso di potenziare la propria rete osservativa integrando fra loro punti di osservazione situati in località remote (isole, località montane), su antenne radiotelevisive molto alte (le cosidette tall towers) e su piattaforme aeree (Fig. 5).

L’Italia contribuisce a questa rete con le proprie stazioni del Plateau Rosà in Val D’Aosta, del Monte Cimone in Emilia-Romagna, dell’Isola di Lampedusa nel Canale di Sicilia e con la torre di osservazione di Firenze-Terra Rossa, in Toscana.Le stime dei flussi che sono state fatte con questi diversi metodi sono ancora abbastanza incerte e diverse fra loro variando, per il continente europeo, dai 750 Tg di CO2 atmosferica all’anno calcolati con sistemi inventariali [1], a un valore compreso fra 290 e 2000 Tg annui ottenuto con metodi di inversione di dati atmosferici [2] e di 1700 Tg CO2 all’anno ottenuto estrapolando a scala continentale le osservazioni puntuali fatte su diversi ecosistemi forestali [3]. Nel loro insieme, questi dati suggeriscono che il settore agricolo sia un emettitore netto di CO2 con un tasso che è pari a circa la metà dell’assorbimento realizzato dai sistemi forestali europei e che i pascoli europei assorbano una moderata quantità di CO2 atmosferica.Il previsto potenziamento delle reti osservative porterà presto a un consolidamento di questi dati consentendo di conoscere sempre meglio l’entità del “sequestro” di CO2 realizzato dalla biosfera terrestre.

E questo offrirà la possibilità concreta di contabilizzare sempre meglio l’effetto di interventi forestali o territoriali mirati ad aumentare l’assorbimento di CO2. Obiettivo, questo, che è ormai parte integrante degli interventi ammissibili nel cosiddetto Protocollo di Kyoto che è parte della Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici e che ha l’obiettivo di contenere l’aumento di concentrazione di CO2 atmosferica mitigando l’aumento dell’effetto serra atmosferico e, con esso, il previsto cambiamento climatico. Quale futuro? Le pur brevi note di fisiologia vegetale che ho riportato all’inizio di questo articolo ci consentono, ora, di esaminare alcuni aspetti importanti dell’impatto del cambiamento globale sulla biosfera. In un recentissimo lavoro pubblicato nel 2003 sulla rivista Science, Nemani e collaboratori [4] sostengono che la produttività primaria terrestre è aumentata globalmente di oltre il 6 per cento nel periodo 1982-1999.

Con produttiva netta primaria si intende, in sostanza, l’accumulo di sostanza organica nella biosfera e, di conseguenza, l’assorbimento netto di CO2 dall’atmosfera (fotosintesi – respirazione). Secondo le loro stime, basate su una combinazione di dati satellitari e di modelli di simulazione, questo aumento sarebbe più evidente nell’area equatoriale e tropicale ma osservabile anche in zone più temperate del pianeta. Le ragioni di questo aumento di produttività sono attribuite a diverse concause che vanno sotto un denominatore comune di cambiamento globale: l’effetto dell’aumento della temperatura dell’aria può aver avuto un effetto positivo sul tasso fotosintetico e sulla durata delle stagioni vegetative, l’effetto diretto dell’aumentata concentrazione atmosferica di CO2 (Ca) potrebbe aver causato un aumento del tasso di assimilazione fotosintetica e dell’accrescimento delle piante; così come potrebbe essersi verificato in risposta delle accresciute deposizioni azotate atmosferiche, frutto dell’attività umana nel settore industriale, dei trasporti e dell’allevamento.

Saremmo di fronte, insomma, a un fenomeno di retroazione positiva a scala planetaria che potrebbe modificare in modo sostanziale gli equilibri passati fra biosfera e atmosfera: secondo questo scenario, l’aumento della produttività della biosfera potrebbe rallentare l’incremento ulteriore delle concentrazioni di CO2 in atmosfera, dando quindi “più tempo” al nostro modello di sviluppo industriale, energetico e dei trasporti per migrare verso una condizione di “neutralità” di emissione. Esistono diverse evidenze sperimentali che le cose stiano davvero, e paradossalmente, così. Gli effetti positivi di una maggiore disponibilità di azoto e di un aumento di concentrazione atmosferica di CO2 sulla crescita delle piante sono stati infatti documentati in modo molto esaustivo, nell’arco di questo secolo, soprattutto nel campo della ricerca agraria. Ma le più recenti indagini sperimentali, condotte sia in Europa che negli USA, hanno messo in evidenza che concentrazioni atmosferiche di anidride carbonica doppie rispetto a quelle che c’erano prima dell’era industriale possono stimolare del 10-30 per cento l’accrescimento delle piante e l’accumulo di carbonio nel suolo, anche nei sistemi forestali [5-7].

Restano tuttavia delle incertezze al riguardo fondate per esempio su altre osservazioni e su altre ipotesi che sarebbe qui troppo complesso affrontare (si veda, per una approfondita discussione su questi temi, il lavoro di Korner [8]).Ma sono anche state fatte altre ipotesi, e alcune di queste sono di segno quasi opposto a quella implicita nel lavoro di Nemani e colleghi [2]. Configurando scenari molto diversi da quelli visti in precedenza. Una di queste ipotesi, fatta nell’ambito di programmi di ricerca europei coordinati dall’Ufficio Meteorologico britannico, considera, per esempio, che il previsto aumento di temperatura dovuto all’accresciuto effetto serra, potrà causare, in un futuro anche molto prossimo, una rapida perdita di carbonio organico dai suoli [9]. Di fatto, circa i due terzi dell’anidride carbonica che viene fissata nel processo fotosintetico vengono già oggi riemessi nell’atmosfera attraverso la respirazione dell’ecosistema. Si stima che questo flusso positivo di CO2 dalla biosfera verso l’atmosfera superi, globalmente, i 220 miliardi di tonnellate all’anno, un valore che è circa dieci volte più grande di tutte le emissioni di anidride carbonica di origine antropica.

La gran parte delle indagini sperimentali che sono state condotte fino a oggi hanno mostrato che questo tasso respiratorio può aumentare all’aumentare della temperatura. Convenzionalmente si esprime questo effetto con un indice (chiamato Q10) che esprime per ogni organo, per ogni specie e per ogni ecosistema, la frazione di aumento della respirazione che si ha in seguito a un aumento di temperatura pari a 10°C. I valori di Q10 che sono stati osservati sperimentalmente variano da 1,1 fino a 4 e han-no fatto ritenere che un possibile aumento medio della temperatura del globo di due gradi potrebbe causare un aumento globale del tasso di respirazione persino superiore al 10 per cento. Un incremento che farebbe crescere di oltre 20 miliardi di tonnellate all’anno il flusso positivo di CO2 dalla biosfera terrestre, verso l’atmosfera.

Uno scenario quasi apocalittico che ha fatto usare termini come runaway green-house effect (effetto serra incontrollato) che erano stati fino a oggi usati per la descrizione dell’effetto serra presente su altri pianeti. Uno scenario di retroazione positiva del riscaldamento globale che potrebbe determinare un ulteriore e ancor più rapido incremento di concentrazione di CO2 nell’atmosfera fino a causare un ulteriore aumento dell’effetto serra e ulteriori effetti sulle temperature del pianeta. Uno scenario possibile ma non necessariamente probabile anche perché la ricerca ha individuato meccanismi di adattamento dell’ecosistema per cui la respirazione potrebbe “acclimatare” al riscaldamento globale riaggiustando verso il basso la risposta alla temperatura della respirazione [10]. Una sorta di omeostasi dell’ecosistema che potrebbe mantenere immutati gli attuali livelli di respirazione globale nonostante un rapido aumento della temperatura media.

Conclusioni

In questo rapido excursus attraverso alcune delle tematiche più attuali della ricerca biometeorologica, ho cercato di evidenziare quanto sia diventato critico, alla luce del cambiamento globale in atto, capire la dinamica delle interazioni fra elementi fisici e biologici del nostro pianeta; le complesse interrelazioni fra biosfera e atmosfera e fra il funzionamento degli ecosistemi, l’ambiente fisico e il clima. Ho cercato di mettere in evidenza perché la ricerca abbia sempre di più il compito di verificare ipotesi anche attraverso indagini sperimentali. E via via che le conoscenze si approfondiscono e le ipotesi possono essere verificate, la scienza può cimentarsi a estrapolare, attraverso modelli generali, le conseguenze più probabili e più importanti del cambiamento e le azioni tese a mitigarne gli effetti. I ricercatori appaiono, in questo contesto, essere sempre più lontani dalle motivazioni classiche della scienza, che ha avuto per gran parte della sua storia il compito di indagare fenomeni, spinta spesso solo dalla curiosità. Siamo nell’era dei grandi progetti che travalicano i confini nazionali di una volta e che procedono per grandi obiettivi. E così, per poter incidere, la ricerca deve essere coordinata a livello globale, deve avere obiettivi comuni e proporre il confronto di idee e la verifica di nuove ipotesi. Le parole d’ordine sono sicuramente quelle dell’interdisciplinarietà e della massa critica. Il singolo ricercatore che, pur bravo, restasse isolato rispetto al contesto dei grandi progetti rimarrebbe una figura incapace di incidere e di contribuire in modo fattivo agli obiettivi di fondo. Una considerazione che deve portarci anche a ripensare le impostazioni tradizionali della ricerca nel nostro paese.

 È evidente che l’Italia deve e può dare un contributo alla ricerca internazionale; molti ricercatori italiani hanno già dimostrato di avere la capacità di muoversi in quella direzione. Spetta ora al mondo politico offrire risorse e motivazioni a chi fa ricerca a gestire in modo attento tutti i meccanismi di finanziamento e di organizzazione. Vanno promosse e premiate le collaborazioni fra discipline diverse, evitando di perpetuare il meccanismo superato dell’isolamento tematico delle diverse aree disciplinari e delle diverse istituzioni. Solo in questo modo sarà possibile entrare a far parte, anche per il nostro paese, di una comunità scientifica globale che ha già abolito molti dei confini politici e istituzionali a cui eravamo abituati. Sono certo, nel chiudere questo mio intervento, che l’importanza dei nuovi temi di ricerca e il loro stretto legame con emergenze planetarie come quella del cambiamento globale sapranno attrarre anche forze nuove alla ricerca. Saranno le giovani generazioni a farsi carico, in modo sempre più rigoroso, della soluzione di quelle emergenze, approfondendo lo studio e assumendo responsabilità sempre più importanti, in un futuro ormai prossimo.

BIBLIOGRAFIA

[1] JANSSENS I.A., FREIBAUER A., CIAIS P., SMITH P., NABUURS G.J., FOLBERTH G., SCHLAMADINGER B., HUTJES R.W.A., CEULEMANS R., SCHULZE E.D., VALENTINI R., DOLMAN A.J., “Bridging the gap between land and atmosphere-based estimates of C sequestration in the European terrestrial biosphere”, Science, 300, 2003, pp. 1538-1542.
[2] GURNEY K.R., LAW R.M., DENNING A.S., RAYNER P.J., BAKER D., BOUSQUET P., BRUHWILER L., CHEN Y.H., CIAIS P., FAN S., FUNG I.Y., GLOOR M., HEIMANN M., HIGUCHI K., JOHN J., MAKI T., MAKSYUTOV S., MASARIE K., PEYLIN P., PRATHER M., PAK B.C., RANDERSON J., SARMIENTO J., TAGUCHI S., TAKAHASHI T., E YUEN C.W., “Towards robust regional estimates of CO2 sources and sinks using atmospheric transport models”, Nature, 415 (6872), 2002, pp. 626-630.
[3] PAPALE D., VALENTINI R., “A new assessment of European forests carbon exchanges by eddy fluxes and artificial neural network spatialization”, Glob. Change Biol., in corso di stampa.
[4] NEMANI R., KEELING C.D., HASHIMOTO H., JOLLY W.M., PIPER S.C., TUCKER C.J., MYNENI R.B. RUNNING S.W., “Climate-Driven Increases in Global Terrestrial Net Primary Production from 1982 to 1999”, Science, 300, 2003, pp. 1560-1563.
[5] NORBY R.J., WULLSCHELEGER S.D., GUNDERSON C.A., NIETCH C.T., “Increased growth efficiency of Quercus alba trees in a CO2-enriched atmosphere”, New Phytologist, 131, 1995, pp. 91-97.
[6] OREN R., ELLSWORTH D.S., JOHNSEN K.H., PHILIPS N., EWERS B.E., MAIER C. et al., “Soil fertility limits carbon sequestration by forest ecosystems in a CO2-enriched atmosphere”, Nature, 411: 2001, pp. 469-472.
[7] GIELEN B., LIBERLOO M., BOGAERT J., CALFAPIETRA C., DE ANGELIS P., MIGLIETTA F., SCARASCIA-MUGNOZZA G., CEULEMANS R., “Three years of free-air CO2 enrichment (POPFACE) only slightly affect profiles of light and leaf characteristics in closed canopies of Populus”, Global Change Biology 9, 2003, pp. 1002-1037.
[8] KORNER CH., “Carbon limitations in trees”, Journal of Ecology, 91, 2003, pp. 4-17.
[9] COX P.M., BETTS R.A., JONES C.D., “Acceleration of Global Warming due to Carbon Cycle feedbacks in coupled climate model”, Nature, 408, 2000, pp. 184-187.
[10] LOVEYS B.R., ATKINSON L.J., SHERLOCK D.J., ROBERTS R.L., FITTER A.H., ATKIN O.K., “Thermal acclimation of leaf and root respiration: an investigation comparing inherently fast- and slow-growing plant species”, Global Change Biology, 9, 2003, pp. 895-910.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here