Una bocciatura di misura, ma pur sempre un parere negativo. È quello che hanno dato l’8 maggio i membri del Comitato di Bioetica all’ipotesi di utilizzare gli embrioni umani per la produzione di cellule staminali (alcuni dei membri però si sono dichiarati a favore dello sfruttamento a fini scientifici di quelli soprannumerari altrimenti destinati a essere distrutti). Nell’affannoso tentativo di dare risposte a domande di carattere etico che rischiano di bloccare lo sviluppo della ricerca scientifica, arriva sempre oggi il contributo di Carlo Alberto Redi, direttore del Laboratorio di Biologia dello Sviluppo dell’Università di Pavia, che inaugura nella stessa città l’Istituto Europeo di Biorigenesi e Neuroscienze onlus alla presenza di Rita Levi Montalcini che ne è presidente. In che modo? Proponendosi di studiare il citoplasto artificiale, un sistema in vitro destinato a riprogrammare le funzioni di cellule staminali adulte (somatiche), prelevate con facilità dai pazienti, per ottenere cellule staminali senza l’impiego di cellule uovo o embrioni. Un progetto pensato al tempo della Commissione Dulbecco, l’assise di esperti messi insieme dall’allora ministro della Sanità Umberto Veronesi, ma rimasta nel cassetto per mancanza di fondi. Difficoltà oggi superata grazie al Collegio Ghislieri, che ospiterà l’Istituto, e al sostegno economico di cittadini, fondazioni e istituzioni pubbliche e private.“La IEBeN si propone, sul modello anglosassone, un progetto molto definito e un risultato finale importante: il citoplasto che dovrà mimare l’azione chimica del citoplasma dell’oocita”, spiega Redi. “Una struttura cioè in grado di riprogrammare geneticamente i nuclei delle cellule somatiche differenziate, come dimostrato dalla clonazione riproduttiva”. Uno studio pionieristico. “A livello internazionale non sono più di tre o quattro i gruppi impegnati su un simile progetto”, va avanti il biologo, “tra questi la Advanced Cell Technology di Joseph Cibelli. E alcuni dati interessanti sono già stati pubblicati: per esempio quelli apparsi su Nature Biotechnology a firma del gruppo norvegese di Anne-Mari Hakelien sull’impiego di citoplasti di cellule differenziate per ottenere da cellule muscolari cellule del sistema nervoso o da quelle del sangue cellule dell’osso”. Lo stesso Redi ha pubblicato uno studio sulla individuazione di due tipi di oociti, l’uno in grado di sostenere lo sviluppo embrionale e l’altro no (Zygote, 2002). Quest’ultimo potrebbe avere tutte le caratteristiche della cellula uovo tranne quella più sensibile dal punto di vista etico: la capacità di sviluppare un essere umano.In ogni caso l’obiettivo della ricerca è quello di accedere “alla magia di quel perfetto laboratorio di biologia molecolare che è la cellula uovo”, come la descrive Redi: “Se potessimo decodificare i suoi meccanismi e riprodurli artificialmente, saremmo di fronte ad un risultato formidabile”. Ecco allora che l’Istituto di nuova fondazione avrà come “mission” proprio quella di riuscire a dissezionare l’oocita e capire quali fattori sono in grado di produrre cellule sempre nuove, così da impiegarle in provetta senza incontrare ostacoli etici. Promovendo così quella del citoplasto artificiale come una delle strade possibili per lo studio delle cellule staminali. “Il problema è che ogni procedura – sia che si parta dalle somatiche adulte o dalle embrionali – ha le sue difficoltà tecniche, e quindi è imperfetta”, commenta il biologo. “Quindi, la ricerca deve essere portata avanti su tutte queste linee. Allo stato dell’arte non ha senso bloccarne una a favore dell’altra per questioni etiche. Esse potranno essere valutate e quindi potranno condurre a decisioni di buon senso solo una volta acquisita quella conoscenza che per ora è incompleta”. Il politico può avere difficoltà a interpretare i risultati della ricerca scientifica, e per questo motivo è fondamentale divulgare, far conoscere, creare un canale di comunicazione aperto tra ricerca e istituzioni. Un’esigenza che a Pavia è più che riconosciuta: “Biorigenesi ha fra i suoi obiettivi fondamentali investire sulla divulgazione degli esiti e dei meccanismi della ricerca, con corsi di formazione per operatori del settore, ma anche con laboratori aperti destinati agli stessi operatori della comunicazione”, conclude Redi.