Infoguerra e infopace

Ne “Il Conte di Montecristo”, il popolarissimo romanzo pubblicato nel 1844 da Alexander Dumas padre, c’è un passaggio che ricorda straordinariamente, mutatis mutandis, possibili scenari contemporanei: quello in cui Edmondo Dantes, ingiustamente incarcerato per anni, per rovinare i suoi avversari (fra cui il banchiere Danglars) ricorre ad uno stratagemma. Altera la trasmissione di messaggi telegrafici, facendo in questo modo crollare la borsa e mandando in rovina Danglars. In tempi più recenti, e in ambiti meno fantastici, non c’è stata guerra o colpo di Stato in cui le sedi della televisione e dei principali mezzi di comunicazione non siano stati tra i primi obiettivi strategici.

Cosa è cambiato dunque oggi, all’epoca dell’Infowar, l’”infoguerra” a cui Ars Electronica ‘98 di Linz ha dedicato il suo annuale incontro fra ricercatori, massmediologi e artisti?. Tutto e niente. Niente, perché il controllo dell’informazione è sempre stato un punto centrale della guerra. Tutto, perché la scala di grandezza è enormemente aumentata grazie all’elettronica, alle reti e al velocissimo processo di “smaterializzazione” di fondamentali strutture della vita sociale.

Infowar è anche il titolo del convegno che, accanto al tradizionale festival e alle installazioni degli artisti, ha cercato di fare il punto proprio sul tema dell’infoguerra. Obiettivo arduo e solo in parte raggiunto, sia perché la materia è assai variegata – dalla propaganda tradizionalmente intesa al sabotaggio elettronico – sia perché le informazioni militari sono, ovviamente, coperte da segreto.

La guerra psicologica e la propaganda sono stati, ad esempio, al centro dell’attenzione di Igor Nicolaevic Pomarin (della Facoltà per la Sicurezza nazionale dell’Accademia russa). Problemi rispetto ai quali Internet è solo un aspetto tra i tanti. Gli Usa, secondo lo studioso russo, sono rimasti l’unica, superpotenza mondiale perché sono stati i più forti nella “infoguerra”, mentre l’Urss ha dovuto soccombere nonostante la supremazia militare. Ma l’America sarebbe ora essa stessa vittima di uno stress psicologico dell’informazione (di cui le vicende del presidente Clinton sono un chiaro esempio) che potrà portarla, in pochi anni verso l’autodistruzione.

L’attenzione della maggior parte degli analisti tende comunque a concentrarsi su alcuni punti: l’affermarsi di Internet come “infospazio” privo di regole, e la crescita di mercati finanziari in cui le transizioni avvengono unicamente tramite i circuiti informatici. Dal fatto che informatica e finanza non hanno più confini segue il fatto che – come ha affermato Gefried Stocker, direttore artistico del Festival austriaco – “le moderne infrastrutture informative diventano contemporaneamente arma e campo di battaglia, e che l’obiettivo strategico non è più la distruzione o l’eliminazione dell’avversario, ma il controllo delle sue informazioni”. Un esempio eclatante di interdipendenza nella globalizzazione dei mercati è costituito dall’accordo per la normalizzazione dei rapporti fra Usa e Repubblica popolare cinese, basato non tanto sull’accettazione del rispetto dei diritti umani, quanto sull’impegno cinese a smantellare la propria industria di pirateria del software.

Certo è che la mancanza di confini e procedure di controllo fanno paura, e richiedono grandi capacità di adattamento. Shen Weiguang, fra i primi studiosi del problema in Cina, ha coniato il termine “Information warfare”: “una forma completamente nuova di guerra, che incombe all’orizzonte dopo un secolo di eventi straordinariamente tumultuosi dal punto di vista militare”. E la Cina – ha continuato lo studioso – non sottovaluta il problema. “Infowar” è diventata una nuova disciplina nelle accademie militari e ha preso il posto di altre materie sorpassate. Il punto centrale su cui Weiguang richiama l’attenzione è che “il concetto di confine nazionale va perdendo significato”. Internet è un nuovo continente, una “terra incognita” di cui non si conoscono i confini. Questo richiede un comune sforzo di collaborazione scientifica per capire cosa significhi passare dai confini dello Stato-nazione ai confini della “quinta dimensione”, e per prevenire futuri pericoli. Dalle nuove definizioni, poi, potranno scaturire anche nuovi accordi. E’ una posizione vicina – in questo senso- a quella espressa da Georg Schofbanker, esperto in politica degli armamenti, che sottolinea l’attuale mancanza di codici di condotta, e di protocolli per il controllo di “armi informatiche”.

Pirati elettronici, hacker, partigiani della resistenza civile rappresentano infine un altro degli aspetti del problema. Da una parte evocano paure di sabotaggi, dall’altra suscitano speranze di un controllo sociale forte e attivo. Per fortuna c’è chi, in mezzo a tanti scenari futuri di guerre incruente, ricorda – come Schofbanker – che le guerre attuali sono ancora guerre per l’acqua e il territorio, che nessun hacker avrebbe interesse ad un’azione in Ruanda, e che se l’infoguerra è possibile, anche l’”infopace” può essere perseguita elaborando regole accettate da tutti.

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