Informatica precolombiana

Un linguaggio strutturato come un codice binario a sette bit. È l’ipotesi avanzata dall’antropologo Gary Urton dell’Università del Texas per sfatare la convinzione che gli Inca siano stati l’unica tra le maggiori civiltà a essere priva di un linguaggio scritto. L’idea nasce da un’attenta osservazione dei quipus (che in lingua quechua significa nodo), manufatti costituiti da una corda principale alla quale sono attaccate cordicelle fittamente annodate, che a loro volta possono ramificarsi ulteriormente. Agli inizi del secolo scorso lo storico della scienza Leland Locke aveva chiarito che la loro funzione non era ornamentale ma quella di un abaco in tessuto. Ora però, avendo a disposizione un campione più ampio di quipus, Urton è riuscito a comprendere analiticamente le fasi della loro produzione: sette passaggi per ognuno dei quali erano date due possibilità. Per esempio il tipo di materiale (lana o cotone) oppure il verso di avvolgimento del nodo (diritto o rovescio). Tranne il caso delle varietà cromatiche, dove le possibili alternative erano 24. Così il “codice quipu” consente di immagazzinare fino a 1.536 unità di informazione (26 per 24), una quantità paragonabile a quella dell’alfabeto cuneiforme sumero. Il problema ora è “decrittare” questo codice: “Abbiamo un buon numero di quipus a disposizione e una dozzina di documenti scritti che sembrano fare riferimento a essi. Ciò di cui abbiamo bisogno è una nuova Stele di Rosetta, come quella che consentì di comprendere i geroglifici egiziani”. (m.mo.)

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here