Internet, Babele 2000

Che lingua parlerà la rete? Fino a qualche anno fa nessuno avrebbe avuto dubbi: l’inglese. Internet è nata negli Stati Uniti. E’ lì che è diventata un fenomeno di massa. E americani erano fino a poco tempo fa i siti più interessanti. Chi voleva accedere alle informazioni delle pagine web non poteva fare a meno di confrontarsi con termini come “search engine”, “archive” o “frequently asked question”. Ma qualcosa sta cambiando. L’egemonia dell’inglese, finora lingua ufficiale di Internet, sta perdendo colpi. Ci sono più domini registrati fuori degli Stati Uniti che negli Usa. A guidare la classifica sono i siti .jp e .de, vale a dire quelli registrati rispettivamente in Giappone e Germania, due paesi tecnologicamente avanzati che possono a tutti gli effetti competere col gigante americano. Non solo: secondo gli analisti della Forrester Research, nel 2003 gli statunitensi rappresenteranno solo un terzo della popolazione di Internet.

Insomma, entro pochi anni Internet potrebbe trasformarsi in una sorta di Babele virtuale, frequentata da miliardi di persone che non riescono a comunicare a causa delle barriere linguistiche. Un problema che preoccupa soprattutto i profeti del mercato globale, chi si occupa di e-commerce. La rete permette infatti di raggiungere clienti in ogni parte del pianeta e sarebbe un vero peccato dover rinunciare a mercati promettenti come quello cinese perché a Pechino e Shangai hanno difficoltà con l’inglese.

La soluzione? Realizzare software capaci di tradurre in tempo reale qualsiasi lingua. Gli esperti la chiamano Machine Translation, una disciplina che affonda le sue radici nei tentativi di Cartesio di assegnare gli stessi simboli a concetti rappresentati da parole diverse nelle varie lingue. A questo argomento ha dedicato la copertina il mensile Wired, una vera autorità per la Bit generation: secondo gli editorialisti americani saranno proprio i traduttori automatici ad abbattere le barriere linguistiche che ancora ostacolano il vero mercato globale. E, stando all’inchiesta, il sogno di una traduzione online accurata e in tempo reale è l’obiettivo delle migliori menti dell’informatica, sia nelle aziende di software che nelle università americane. Tuttavia, ammettono a Wired, bisognerà aspettare la prossima generazione di prototipi per la Machine Translation: gli esempi attuali sono infatti ancora troppo rozzi. Tutt’al più possono rivelarsi utili nel tradurre la documentazione tecnica, come le istruzioni per l’uso di computer e lavatrici, che hanno un lessico prevedibile e una sintassi semplificata.

Basta infatti sperimentare qualcuno dei prodotti già disponibili in rete per accorgersi dei limiti di questi software. Umberto Eco, nella sua rubrica su L’Espresso, ha più volte ironizzato sull’ottusità (certe volte creativa) dei traduttori automatici. Per i suoi esperimenti linguistici in genere ha scelto il programma messo a disposizione dal motore di ricerca AltaVista.”Devo il consiglio a Lee Marshall”, scrive Eco (http://www.espressoedit.kataweb.it/cgi-bin/spd-gettext.sh?ft_cid=19466). “Egli ha prima di tutto tradotto da italiano in inglese e poi dall’inglese all’italiano i primi due versi della Divina Commedia, e il risultato ha semplicementeconfermato che una macchina non può scendere in gara con il Divino Poeta. Ma Marshall ha avuto un’idea migliore. Ha scritto il verso originale italiano, ma ha detto al computer che era in spagnolo, e gli ha chiesto di tradurlo in inglese. La macchina ha ovviamente trovato parole spagnole che non conosceva, e le ha lasciate stare così come erano: Nel mezzo del cammin I gave nostra vita, mi ritrovai to per a dark forest. Dopodiché gli è stato chiesto di tradurre in francese, ed ecco il risultato: Mezzo de Nel de cammin j’ai donné le vita de nostra, ritrovia de mille a par foncée une forêt.. A una mia prova successiva il risultato è stato diverso (segno che la macchina ogni volta tenta nuove strade) e la seconda parte è venuta “mon ritrovai à foncée unites forêt.” Marshall osserva che, nella sua insensatezza, il distico viene a prendere un sapore leggermente provenzale (e lascio decidere ai filologi romanzi, che potrebbero provare ancora)”.

Nonostante i risultati imbarazzanti, gli autori dei software per traduzioni non si scoraggiano, anzi mettono a disposizione servizi aggiuntivi. Ora con AltaVista, non solo è possibile tradurre frasi digitate dall’utente ma persino interi siti web. Se qualche giorno fa, quando il virus informatico I love you era agli onori della cronaca, un lettore avesse chiesto ad Altavista di tradurre la prima pagina nel New York Times avrebbe scoperto che il filippino Reomel Ramones era coinvolto nel “caso del virus del calcolatore dell’insetto di amore”. Una traduzione un po’ approssimativa per l’espressione “Love Bug computer virus case” usata dai giornalisti newyorkesi. C’è poi il sito GPLTrans (http://gpltrans.grmbl.com/) che oltre ai testi e alle pagine web, permette di tradurre anche la posta elettronica in arrivo. Le lingue disponibili sono l’inglese, il tedesco, il francese, lo spagnolo e il portoghese.

Ma i veri traduttori arriveranno sul mercato tra qualche anno: per ora stanno ancora prendendo forma nelle software house. Alla Carnegie Mellon University di Pittsburg, per esempio, è stato messo a punto Janus, un sistema che traduce discorsi fatti in inglese o tedesco in inglese, tedesco e giapponese. I risultati sono sorprendenti, a patto di scandire chiaramente le parole e di non pronunciare il termine “astrofisica” che il computer, chissà perché, scambia per la marca di una carta di credito.

Anche il colosso Ibm si è dedicato alle traduzioni online. Dalla fine dell’anno scorso è disponibile in rete Native Search (www.alphaworks.ibm.com), un servizio che permette a chi parla solo il cinese di utilizzare i più celebri motori di ricerca: Yahoo!, AltaVista, Google e HotBot. Una volta digitato l’ideogramma corrispondente all’argomento della ricerca, Native Search traduce l’ideogramma in inglese e lo dà in pasto ai motori. Il risultato della loro ricerca viene tradotto dall’inglese al cinese. E il gioco è fatto.

C’è anche però chi della Machine Translation ha già fatto un business. La Lernout & Hauspie è un’azienda belga specializzata nel riconoscimento vocale. E da qualche anno si dedica a software per traduzioni. La Microsoft, fiutando l’affare, ha acquistato nel 1997 sue azioni per 45 milioni di dollari (oltre 90 miliardi di lire). Il gioiello della Lernout & Hauspie si chiama Power Translator. Se si pronuncia una frase in inglese, un riconoscitore vocale la analizza e la passa al traduttore che sforna l’equivalente espressione in tedesco. Unica avvertenza: il programma ha bisogno di un po’ di esercizio prima di riuscire a riconoscere le sfumature della voce dell’interlocutore.

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