Istantanea di un elettrone

Un miliardesimo di miliardesimo di secondo. O, più semplicemente, un attosecondo. Una frazione di tempo impercettibile, difficilmente immaginabile. Basti pensare che un attosecondo sta a un secondo come questo a 32 miliardi di anni, ben oltre il doppio dell’età dell’Universo. Eppure, quella dell’attosecondo è la risoluzione temporale necessaria se si vuole fotografare il moto degli elettroni all’interno di un atomo e catturare così i fenomeni ultraveloci che hanno luogo nel cuore della materia. Un obiettivo ambizioso e impegnativo, un traguardo stupefacente ma, soprattutto, non più irraggiungibile. Nei giorni scorsi, infatti, la rivista Nature ha pubblicato i risultati di un esperimento condotto da un gruppo di ricercatori austriaci e tedeschi, guidati da Markus Drescher dell’Università di Bielefeld, in Germania, i quali sono riusciti per la prima volta a registrare in tempo reale il movimento degli elettroni in un atomo di cripto. Il tutto grazie a una tecnica d’avanguardia che ha consentito l’uso di impulsi elettromagnetici della durata di pochi attosecondi. “Alcuni commentatori”, ha voluto puntualizzare Drescher, “hanno parlato di una nuova era per la fisica. Forse è presto per dirlo, ma di certo una nuova dimensione – il tempo – da oggi entra nella pratica osservativa della fisica atomica”. E così una nuova, preziosa disciplina, l’attofisica, irrompe rapidamente nella scienza sperimentale.Chi ha familiarità con la fotografia sa che un lampo di luce può fissare un’azione, formando poi l’immagine su una pellicola. E un’azione veloce, per esempio una pallina da tennis in movimento, può essere fissata senza distorsioni solo se il lampo è particolarmente rapido, più dell’azione stessa. Nessuna macchina fotografica può però afferrare il movimento fulmineo di atomi e molecole nel corso di una reazione chimica. A questo scopo, il classico flash deve essere sostituito da impulsi di luce laser della durata di alcuni milionesimi di miliardesimo di secondo, o femtosecondi: sondate con tale modalità, anche le molecole più vivaci possono apparire totalmente immobili. Una tecnica, quella della misurazione tramite impulsi laser, che tre anni fa è valsa il premio Nobel per la chimica a Ahmed Zewail, pioniere della cosiddetta femtochimica. Tuttavia, neppure la risoluzione temporale del femtosecondo è più sufficiente quando ci si vuole spingere verso dimensioni ancora più piccole, quando si voglia cioè scrutare il moto degli elettroni in orbita attorno al nucleo di un atomo. “In particolare, per studiare il movimento degli elettroni posti nella parte più interna del guscio atomico”, spiega Drescher, “dobbiamo entrare nel mondo degli attosecondi e impiegare i raggi X al posto della luce visibile”.Lo spostamento di un elettrone da un’orbita all’altra all’interno di un atomo si svolge su un arco di tempo di pochi femtosecondi. L’impulso di una luce laser non è perciò in grado di misurarlo, in quanto può avere al minimo la stessa durata: “I raggi X”, specifica Drescher, “sono necessari proprio perché i loro impulsi sono molto più brevi dei processi elettronici da investigare. E questo è essenziale per ottenere una buona risoluzione temporale”. Per il loro esperimento, i ricercatori hanno utilizzato una particolare fonte di raggi X, con impulsi di circa 40 attosecondi, ottenuta grazie a una sofisticata tecnica da loro stessi sviluppata. Inizialmente, hanno inviato un impulso di raggi X su un atomo di cripto, ionizzandolo: uno degli elettroni più vicini al nucleo è stato sbalzato fuori dell’atomo, lasciando al suo posto una ‘lacuna’. Ma questa è una situazione instabile per l’atomo, che si affretta a riempire il posto vacante. Tale processo, o decadimento, coinvolge due elettroni: uno, proveniente da un’orbita più periferica, va a colmare la lacuna e nel contempo l’altro, detto “elettrone Auger”, viene spinto fuori dell’atomo. L’emissione dell’elettrone Auger testimonia dunque l’avvenuto decadimento ed è stata osservata grazie a un secondo impulso inviato dagli scienziati, questa volta di un laser. Drescher e colleghi hanno infine misurato, con una risoluzione dell’attosecondo, il tempo di decadimento dopo aver valutato con cura il ritardo dovuto al rilevamento dell’elettrone Auger.Il processo elettronico esaminato dal team austro-tedesco rappresenta verosimilmente solo il primo capitolo di un programma sperimentale di frontiera: “Non abbiamo ancora sfruttato appieno le capacità potenziali del nostro apparato in termini di risoluzione temporale”, ci dice Drescher. “Di conseguenza, i nostri prossimi obiettivi riguarderanno la misurazione di eventi ancora più veloci, sotto la soglia del femtosecondo. Una direzione particolarmente interessante sarà l’indagine del riassestamento simultaneo di più elettroni in un atomo ionizzato”. Non meno interessante, almeno per chi non frequenta i laboratori di fisica atomica, sarebbe a questo punto sapere che cosa tutto questo potrà comportare sul piano dell’innovazione tecnologica. Di fatto, gli impulsi dell’ordine dell’attosecondo sono un milione di volte più rapidi di quelli implicati nel funzionamento dei più moderni microprocessori: “Questo enorme divario”, avverte Drescher, “suggerisce che la strada da percorrere prima di vedere la nostra tecnica implementata in un computer sarà molto lunga”.

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