Gerusalemme. Oltre 4000 anni di storia. Culla dell’ebraismo del cristianesimo e dell’Islam. Tra le mura di Gerusalemme le tre fedi monoteistiche hanno i loro principali luoghi sacri, e tra queste stesse mura si condensa il conflitto tra israeliani e palestinesi. E’ uno dei nodi più difficili da sciogliere: nel 1947 la città viene dichiararata dall’Onu zona internazionale, ma da allora, nei fatti, è capitale contesa e passaggio obbligato per qualsiasi accordo di pace in Medioriente. Non c’è un muro, come a Berlino, a dividere l’Est dall’Ovest. Ma il confine invisibile che passa attraverso la città vecchia è altrettanto minaccioso e impenetrabile.
Dopo la guerra dei sei giorni, nel giugno del 1967, Gerusalemme Est (territorio giordano dal 1950) viene annessa all’area municipale di Gerusalemme Ovest, sotto il controllo di Israele. Su di essa le autorità israeliane impongono le proprie leggi statali. Sono passati trent’anni. Tra israeliani e palestinesi si sono alternate fasi di distensione a scontri diretti. Il processo di pace avviato alcuni anni fa si è drammaticamente arrestato con l’assassinio del premier israeliano Ytzhak Rabin e si è congelato nei cristalli della politica poco conciliatrice dell’attuale primo ministro Benjamin Netanyahu. Una cosa è certa: i confini imposti nel ‘67 hanno provocato una situazione insostenibile per il popolo palestinese. B’Tselem, un’organizzazione israeliana per la difesa dei diritti umani, ha pubblicato negli ultimi anni diversi rapporti di analisi e di denuncia della politica di Israele, spesso sulla base di documenti ufficiali (1). Riportiamo alcuni punti messi in evidenza da B’Tselem, utili per capire cosa sta avvenendo in questa zona calda del pianeta e per riflettere sulle prospettive della difficile ripresa dei colloqui di pace.
Una deportazione silenziosa
I nuovi confini del 1967, che comprendono anche la striscia di Gaza e la Cisgiordania, vengono definiti da una commissione con l’approvazione del governo di Israele. L’obiettivo principale è di assicurare una maggioranza di ebrei all’interno di questi confini, che vengono intesi come le frontiere dello Stato di Israele. Subito dopo la guerra, Israele ha fatto un censimento nelle aree annesse. Ai presenti, Israele concedeva lo status di “residenti permanenti” (secondo le leggi israeliane la residenza permanente è lo status garantito ai cittadini stranieri che hanno scelto liberamente di andare in Israele e di restarci). Questo status permetteva inoltre di richiedere la cittadinanza israeliana a chi lo desiderasse. Per ragioni politiche la maggior parte dei residenti non lo ha fatto. I palestinesi che, per un motivo qualsiasi, non erano presenti in quel momento, hanno perso col tempo ogni diritto a possedere una carta d’identità israeliana. Al giorno d’oggi, l’unico modo per un palestinese di Gerusalemme di mantenere la residenza permanente è di vivere tutto il tempo dentro i confini della città. Non può lavorare né studiare all’estero, non può sposarsi con qualcuno che abiti altrove, né trasferirsi in periferia. I controlli ai confini della città sono severissimi. “Una prigione all’aria aperta”, dice Yasin Al-Shouk, presidente e segretario generale dell’Organizzazione della Diaspora palestinese. (2) Per questi motivi, molti palestinesi non hanno avuto altra alternativa se non quella di lasciare la città. E a quel punto, per sempre.
La città cambia i connotati
A partire dal 1967 la città di Gerusalemme ha conosciuto un forte incremento urbanistico. Da allora fino al febbraio del 1995 sono state costruite più di 76.000 abitazioni, un aumento del 108,6%. L’obiettivo principale alla base di questa pianificazione urbana, secondo B’Tselem (3), è di creare una realtà demografica e geografica che rafforzi sempre più la sovranità di Israele su Gerusalemme Est.La maggior parte di queste costruzioni sono destinate a israeliani. Come si vede dalla tabella, l’88% delle case sono state costruite in quartieri ebraici.Valutando lo spazio a disposizione per persona la disparità risulta ancora più evidente. La media dell’area abitativa per ogni residente ebraico supera di più del doppio quella di un palestinese: i dati relativi al dicembre del 1993 sono di 18,4 metri quadri contro 7,8.
Abitazioni costruite, per nazionalità, 1967-1995
Ebrei
Palestinesi
Sconosciuti
Totale
Numero di unità
1967
57.500
12.600
70.100
Numero di unità
1955
122.367
21.490
2.394
146.251
Unità costruite
1967-1995
64.867
8.890
2.394
76.151
I funzionari israeliani hanno spesso dichiarato che l’addensamento di persone negli appartamenti palestinesi e il divario esistente nella quantità di abitazioni, infrastrutture e servizi tra le due parti della città sono una conseguenza delle carenze nella gestione di Gerusalemme Est da parte del governo giordano tra il 1948 e il 1967. Eppure, nonostante esplicite dichiarazioni di sforzi fatti per sanare questo squilibrio e investire in egual misura nei due settori della città, i dati dimostrano che un reale impegno in realtà non c’è stato. Anzi, il divario si è addirittura accentuato.
Incremento percentuale della popolazione e delle abitazioni a Gerusalemme, per nazionalità, 1967-1993
Abitazioni completate a Gerusalemme, per nazionalità e area, 1967-1995 (percentuali)
Di fronte al mondo
Secondo il diritto internazionale, un paese occupante non è autorizzato ad annettersi il territorio conquistato, se non come risultato di un accordo di pace. Nei consessi internazionali, le autorità israeliane hanno sempre sottolineato che non si era verificata alcuna annessione, e hanno presentato la questione di gerusalemme come non ancora risolta. L’articolo 5 della dichiarazione di Oslo, firmata da Israele e dall’Olp nel 1993, non si pronuncia riguardo allo status di Gerusalemme est, ma afferma che esso sarà stabilito in una fase successiva dei negoziati tra i due popoli. Ma i palestinesi, e anche alcune fonti israeliane, denunciano che Israele ha agito nei confronti di Gerusalemme est come se fosse stata annessa, senza alcun accordo di pace. Annessa unilateralmente.
A partire da questo presupposto, sorge la domanda: dal punto di vista del diritto internazionale gli insediamenti sono legali? L’articolo 47 della quarta Convenzione di Ginevra del 1949 afferma chiaramente che nel caso di annessione unilaterale restano in vigore i principi del diritto internazionale che si applicano nel caso di occupazione militare. Dunque, in queste condizioni, l’esercito di occupazione israeliano dovrebbe agire in accordo con le leggi umanitarie internazionali che regolano il trattamento della popolazione civile che risiede nei territori occupati.
Ma anche in quest’ottica, lo stato di Israele si trova in difetto. gli articoli 4 e 47 della convenzione riguardo alle occupazioni forzate proibiscono l’annessione o il controllo sovrano dei territori occupati, e l’insediamento dei cittadini del paese occupante. E protegge tutte quelle persone che, in un dato momento e in qualsiasi situazione, si trovino in caso di conflitto o di occupazione nelle mani di una delle parti del conflitto o del potere occupante dei quali non sono connazionali. Vero è che il parlamento di Israele (Knesset) non ha adottato la Convenzione, e l’alta corte di giustizia ha deciso che i tribunali locali non siano comunque tenuti a seguirne le indicazioni. Esiste però il regolamento dell’Aia, che l’alta corte di giustizia israeliana ha considerato parte del diritto internazionale consuetudinario (4) e ha dunque incorporato nelle leggi statali. Secondo questo regolamento un paese occupante deve continuare ad applicare i principi legali che erano in vigore prima dell’inizio dell’occupazione. Ma il governo israeliano continua a negare di aver occupato i territori palestinesi, Gerusalemme inclusa, e di conseguenza nega l’applicabilità delle leggi internazionali.
Negli ultimi trent’anni il Consiglio di Sicurezza e l’Assemblea Generale dell’Onu hanno emesso numerose risoluzioni per risolvere la questione-Gerusalemme, dove si sottolinea l’illegalità dell’annessione e, tra le altre cose, si ribadisce “l’impellente necessità di terminare l’occupazione prolungata di territori arabi dal 1967, inclusa Gerusalemme” (risoluzione 476 del 30 giugno 1980). ma nell’agosto di quello stesso anno il Knesset ha approvato una legge in cui Gerusalemme viene dichiarata “unica e unita capitale d’Israele”.
Note
(1) Per informazioni su questa organizzazione internazionale, le pubblicazioni in italiano dei loro rapporti, e in generale una vasta documentazione su Gerusalemme contattare l’Associazione per la Pace, corso Trieste 36, 00198 Roma, tel (39+6) 85262422
(2) L’organizzazione della diaspora palestinese, che ha sede a Parigi, rappresenta i 2 milioni e più di palestinesi che si sono dispersi nel mondo dal 1948 in poi: 200 mila nei paesi occidentali, 350 mila in Siria, 90 mila in Libano e 1 milione e mezzo negli altri paesi arabi.
(3) I dati riportati si basano su documenti ufficiali del comune di Gerusalemme e del governo israeliano.
(4) Il diritto internazionale consuetudinario viene ampiamente applicato perché riflette una politica coerente, secondo la maggior parte degli stati, su cosa sia lecito e cosa proibito, anche in periodo di guerra.