La casa comune della bioetica

La bioetica ha la sua Dichiarazione Universale. E’ stata stilata poco più di una settimana fa nel corso della Conferenza generale dell’Unesco, a Parigi, ed è già entrata ufficialmente nell’agenda di oltre 197 Stati membri. La casa comune della bioetica si trova quindi a Parigi, presso la sede Unesco, l’agenzia a cui l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha affidato il compito di far incontrare numerosi Paesi, straordinariamente diversi tra loro, proprio al tavolo della bioetica. Questa disciplina, infatti, è sempre più necessaria, soprattutto alla luce dei nuovi e rapidi progressi in campo medico e nella ricerca scientifica, che pongono questioni concrete, sia a chi ne può usufruire come a chi non può accedervi. Ed è con questi dilemmi che i cittadini del mondo si confrontano quotidianamente. Un documento importante, dunque, quello approvato dalla Conferenza Generale dell’Unesco, sia per i suoi contenuti che per il successo politico dell’operazione. Infatti, individuare e condividere 17 principi universali e porli come cardini della bioetica internazionale non è stata cosa facile, né scontata. Esistevano fino a ieri visioni completamente diverse su ciò che deve essere ricompreso o meno in un dibattito bioetico. Se i Paesi occidentali mettono all’ordine del giorno i dilemmi sull’uso delle biotecnologie o sulla medicina di frontiera, il Sud del mondo è impegnato, invece, ad elaborare una bioetica sociale, quella che analizza i diritti umani, la redistribuzione della ricchezza e del benessere. Ecco perché la diversità dei paesi rappresentati nell’Unesco ha reso necessario un vero e proprio processo negoziale, arricchito da un gran numero di audizioni, per redigere il testo definitivo della Dichiarazione. Si è così deciso di lasciare fuori questioni specifiche e dirompenti come la clonazione o l’eutanasia e ci si è concentrati sui valori e sul rapporto tra l’uomo e le innovazioni mediche e scientifiche.”Un lavoro lungo e appassionante”, commenta soddisfatta Cinzia Caporale, componente del Comitato Nazionale di Bioetica e presidente del Comitato Internazionale di Bioetica dell’Unesco. La rappresentanza italiana è stata capofila, nell’assemblea di giugno, della redazione di uno degli articoli di maggior interesse della Dichiarazione Universale, quello sul consenso informato. “Le sei stesure del documento testimoniano”, aggiunge Caporale “un lavoro serio e soprattutto un’autentica disponibilità al dialogo. E’ stato come se ognuno, pur tenendo ferme le sue idee si fosse chiesto fino a che punto potesse cedere, senza caparbietà e liberando la bioetica dallo stigma di alimentare un dialogo tra sordi”. Grazie a questo atteggiamento, il consenso informato, che nelle prime bozze era descritto in modo stringato, è poi stato articolato in tre punti in cui prevale, senza titubanze, l’autonomia del cittadino. Questa ha però come antefatto il diritto dei cittadini di rivendicare una ampia e completa informazione, senza la quale non può esserci una reale possibilità di scelta. E come corollario, l’esigenza di una tutela da qualunque ingerenza politica ed istituzionale possa sostituirsi ad un consenso libero ed informato. L’altra novità rilevante, che colloca questo documento al secondo posto per importanza, dopo la Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo del 1948, prosegue Caporale, è quindi la prospettiva con cui si osservano la scienza e la ricerca. “Di certo, come fonte di progresso, di cui la riflessione etica è parte integrante, ma non c’è traccia di forme di demonizzazione”. Ci si chiede, a questo punto, se la Dichiarazione sulla Bioetica ed i Diritti Umani avrà delle conseguenze ed un impatto concreto anche nel nostro Paese. In Italia, il Comitato Nazionale di Bioetica, dopo aver espresso un parere generale di approvazione, si riserva di entrare successivamente nel dettaglio. Tuttavia, qualunque sia l’esito del dibattito, conclude Cinzia Caporale, si avverte il peso politico di questo documento, che vanta un grande prestigio per la dimensione del processo a monte della sua redazione e per l’ ampia approvazione internazionale che ha ricevuto. Dunque, sebbene si discuta ancora sull’esigenza che diventi formalmente e direttamente vincolante per i legislatori dei Paesi firmatari, tuttavia non si può negare che sia di per sé uno strumento con cui sia le future normative internazionali che le legislazioni nazionali dovranno confrontarsi.

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