La diffidenza in una mandorla

C’è un punto preciso del cervello da cui dipendono l’istintiva diffidenza suscitata da un viso poco raccomandabile o il brivido che provoca la vista di un’immagine sgradevole: il responsabile di queste sensazioni è un piccolo groviglio di neuroni chiamato “amigdala” per la sua forma a mandorla. Questo almeno è quanto suggeriscono i risultati di due diverse ricerche, pubblicate sull’ultimo numero di Nature.

L’amigdala fa parte del sistema limbico, cioè di quell’insieme di strutture cerebrali dalle quali dipendono dolore, piacere, desiderio sessuale, affetto e tutte quelle pulsioni fondamentali per la sopravvivenza. Fino ad oggi sapevamo che questa struttura è coinvolta nelle sensazioni di paura: ma poiché queste ultime dipendono in buona parte dalle esperienze passate, gli scienziati si sono chiesti se l’amigdala avesse un ruolo anche nella capacità di richiamare alla memoria eventi negativi.

Per rispondere a questa domanda un gruppo di scienziati inglesi, coordinati da Ray Dolan, del Wellcome Department of Cognitive Neurology londinese, ha svolto una serie di test su alcuni volontari. A questi è stata innanzitutto mostrata ripetutamente la foto di un viso, mentre contemporaneamente veniva prodotto un rumore molto fastidioso. Grazie a questo condizionamento, i volontari hanno inconsciamente imparato a considerare sgradevole l’immagine.

Dopo un simile addestramento era lecito aspettarsi che la sola vista della foto, di per sé neutra, sarebbe stata sufficiente a richiamare alla mente degli osservatori la sensazione sgradevole. Ma gli scienziati volevano verificare l’attività dell’amigdala sia quando i volontari vedevano la foto abbastanza a lungo da riconoscerla coscientemente, sia quando veniva fatta passare davanti ai loro occhi per un tempo tanto breve da non riuscire a realizzarne la presenza. Con sofisticate tecniche di misura dell’attività neuronale è possibile accertarsi se una certa zona del cervello è in funzione o meno. Così, studiando le reazioni dei volontari, i ricercatori si sono resi conto di un fatto sorprendente: alla comparsa dell’immagine l’amigdala si attivava sempre, ma in modo diverso a seconda che gli osservatori si rendessero consciamente conto del suo passaggio o meno. Nel primo caso, infatti, entra in funzione la metà dell’amigdala appartenente all’emisfero sinistro, mentre nel secondo, quella localizzata nell’emisfero destro.

“I nostri risultati suggeriscono due cose”, spiega John Morris, uno degli scienziati coinvolti nel progetto, “in primo luogo, che l’amigdala è in grado di reagire agli stimoli valutando, in base alle esperienze passate, se questi sono pericolosi. In secondo luogo, che le sue due metà rispondono alternativamente a seconda che l’osservatore sia o no cosciente di aver visto l’immagine”. Quest’ultimo punto è particolarmente interessante, perché potrebbe essere messo in relazione con un’altra importante funzione cerebrale laterizzata: il linguaggio. “In effetti, anche studi precedenti fanno ipotizzare che l’emisfero destro abbia la priorità nel compito di esaminare le espressioni facciali. È però possibile che un soggetto che riceve coscientemente un’immagine attivi le aree deputate al linguaggio, che si trovano nell’emisfero sinistro, in modo da poter descrivere quanto visto. In questo caso, dunque, nel cervello potrebbe subentrare l’esigenza di tenere confinata l’intera operazione di valutazione dell’espressione facciale in un solo emisfero, perché gli scambi di informazioni tra neuroni vicini sono più rapidi. Di conseguenza, la parte sinistra dell’amigdala si farebbe carico di un compito che altrimenti sarebbe stato svolto dalla metà destra”.

Ma se l’amigdala è tanto importante nelle sensazioni di paura e nel riconoscere i visi associati a esperienze negative, cosa accade quando non funziona? È la domanda che si è posto un secondo gruppo di scienziati americani guidato da Antonio Damasio del Salk Institute for Biological Studies di La Jolla, in California. I ricercatori hanno paragonato la reazione di fronte a una serie di volti in soggetti normali e in persone che avevano subito un danno irreparabile all’intera amigdala. Ebbene: questi ultimi mostravano un’irresistibile tendenza a fidarsi anche dei volti meno “raccomandabili” (per esempio quelli con gli occhi coperti da occhiali da sole, o con un sorriso minaccioso). Eppure queste stesse persone erano perfettamente in grado di accordare la loro fiducia in modo normale a individui i cui visi non venivano mostrati, ma solo descritti a parole. Dunque l’amigdala sembra giocare un ruolo fondamentale specificamente nel giudizio esteriore dei volti, stabilendo da quali sia meglio stare alla larga.

Ma c’è un altro particolare curioso: la “mandorla” sembra deputata a giudicare l’intera immagine del volto, mentre non sembra coinvolta nella valutazione dei particolari. Gli scienziati infatti hanno provato a modificare uno stesso viso rendendolo più o meno affidabile, e quindi lo hanno mostrato ai soggetti con l’amigdala danneggiata, chiedendo loro chi avrebbero preferito incontrare. In questo caso i pazienti hanno fornito risposte del tutto analoghe a quelle date dai controlli sani.

“In questo periodo gli studi sulle emozioni sembrano vivere un momento d’oro, e in particolare quelli sull’amigdala sono molto promettenti e ricchi di sviluppi futuri” conclude Morris. “Restano però ancora da valutare i meccanismi molecolari che permettono a questa zona del cervello di memorizzare le impressioni ricevute e le sue interazioni con il vicino ippocampo, sede della memoria a breve termine”.

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