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La faccia non mente

In passato molte ricerche si sono concentrate sullo studio delle espressioni facciali, elementi fondamentali nella comunicazione e nell’interazione tra individui. Un nuovo studio, condotto da ricercatori della Harvard University e pubblicato sulla rivista Psychological Science, ha aggiunto un tassello al puzzle della conoscenza che abbiamo su di esse: i ricercatori hanno dimostrato che, a parità di concetti espressi a voce, un’espressione arrabbiata aiuta a vincere una negoziazione o una controversia.   

“L’espressione facciale, in questo caso la rabbia, aggiunge credibilità”, spiega l’autore dello studio, Lawrence Ian Reed, “facendo presupporre alla controparte che, se non si dovesse venire incontro al desiderio espresso verbalmente, l’interlocutore se ne andrebbe. In questo modo si è portati ad assecondarlo, e da qui deriva l’efficacia dell’espressione di rabbia”. Questo principio funziona perché le espressioni facciali sono più difficili da controllare rispetto alla parole: sono quindi una migliore indicazione delle intenzioni. “In questo modo”, conclude Reed, “le espressioni danno peso alle nostre parole”. 

Ciò è particolarmente vero quando si studiano le microespressioni facciali: esse non solo rafforzano quello che diciamo, ma possono esprimere concetti ed emozioni che vorremmo tenere segreti; quando tutto è inibito dal nostro controllo volontario, le miniespressioni facciali parlano per noi. Tanto che la loro analisi è uno degli strumenti utilizzati dalle aziende di neuromarketing per testare l’apprezzamento di varie tipologie di prodotti da parte dei clienti. Emotion Research Lab, start up spagnola con sede a Valencia, è una di queste aziende. Abbiamo intervistato la presidente, Maria Pocovi.

Maria, spesso il neuromarketing viene accusato di voler influenzare i desideri dei consumatori. Come risponde a questa critica?

“Purtroppo questo è il concetto che inizialmente è stato associato al neuromarketing, ed è duro a morire. In realtà le nostre sono tecniche di registrazione, in cui non si va in alcun modo a stimolare il cervello. È quindi impossibile, con queste tecniche, manipolare la mente delle persone. Certo si può imparare molto sul comportamento, sui gusti e sul modo di ragionare del consumatore e quindi modificare in modo appropriato prodotti, servizi e marketing. Ma è quello che da decenni si fa con interviste, questionari e pubblicità classica: il neuromarketing non è che l’evoluzione di questi strumenti”. 

Uno degli strumenti da voi utilizzati è un software per il riconoscimento delle microespressioni facciali: che margine di errore stimate? 

“Il sistema attualmente ha un’accuratezza media del 93%. Ovviamente esistono delle differenze di accuratezza tra soggetto e soggetto, come qualsiasi strumento di misurazione di attività complesse quali sono le espressioni; in quest’ottica siamo sempre alla ricerca di nuove soluzioni per renderlo il più universale e preciso possibile. Inoltre è bene ricordare che le microespressioni facciali ci permettono di riconoscere solo poche emozioni, le cosiddette emozioni universali descritte da Ekman e Friesen (rabbia, sorpresa, felicità, disgusto, paura e tristezza) che sono conservate tra sesso, età ed etnie diverse”.

A cosa serve l’analisi delle microespressioni?

“I possibili usi sono molteplici. In particolar modo noi ci occupiamo di neuromarketing, valutando attraverso studi specifici il livello di soddisfazione dei clienti in relazione a un particolare prodotto o servizio; il mercato è in continua evoluzione, e le grandi aziende sono sempre in cerca di nuovi modi di soddisfare i desideri della propria clientela. Chi non si evolve, in questo mondo, è perduto”. 

Ma per valutare la soddisfazione dei clienti non bastano questionari e interviste?

“Molto spesso siamo portati a mentire anche se non abbiamo niente da nascondere. Lo facciamo per compiacere chi abbiamo di fronte, per un senso di timore o reverenza, o per paura di offendere. È stato osservato che questi meccanismi inconsci si presentano anche nel caso delle interviste ai clienti, inficiando così il lavoro di analisi. Con il nostro software forniamo uno strumento più oggettivo e scientifico delle valutazioni personali: al consumatore viene presentato uno stimolo visivo (foto o video) che riproduce le caratteristiche del prodotto, e il software va a rilevare le microespressioni facciali generate”.

Un sistema che può essere usato solo nel campo del marketing?

“Non esattamente. Un’altra area di applicazione è quella della formazione nella ricerca di personale: grazie all’analisi delle microespressioni facciali è più facile capire se il candidato sta cercando di tenere qualche particolare all’oscuro dell’intervistatore. O ancora, a livello di studi politici: in questo senso le microespressioni ci dicono molto di come i candidati reagiscono a domande impreviste e scomode. Infine siamo impegnati nell’addestramento di personale per grandi compagnie per quanto riguarda la capacità di affrontare le negoziazioni: il linguaggio non-verbale in questo caso è fondamentale”.

Credits immagine: Lorenzo Sernicola/Flickr

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  • ... mi sembra che questa tecnica presupponga che il "soggetto" agisca d'impulso, che non metta tempo e/o spazio tra una "impressione" (quella che viene "presa" dal software) e la decisione. Il cervello e la ragione dovrebbero stemperare e calibrare il nesso impressione decisione. Poi il software non può contemplare la "motivazione" all'azione quindi penso che questo software ed il neuromarketing siano sopravvalutati. Sarebbe comunque interessante avere qualche dato quantitativo, una sorta di trial in doppio cieco, per poter valutare oggettivamente. Non si può parlare col tacchino del pranzo di Natale, ma anche parlarne solo con chi cucina non è sufficiente!

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