La genetica della guerra

C’è un paese al mondo in cui la genetica si è sviluppata a singhiozzo, seguendo strade accidentate e tortuose.
Distrutta negli anni quaranta da Stalin e dal suo scienziato di corte, l’agronomo Trofim Lysenko, la scuola genetica in Unione Sovietica, è rinata solo alla fine degli anni cinquanta, sotto l’ombrello della fisica, con cui avrebbe dovuto contribuire, nelle intenzioni dei pianificatori del Pcus, a garantire la supremazia del paese sugli Stati Uniti, assicurando la protezione della popolazione, e quindi la capacità di reazione, ad un eventuale attacco nucleare.
La dimostrazione sperimentale che i danni sui soggetti sottoposti a radiazioni agiscono prevalentemente a livello ereditario, ha quindi riaperto uno spazio per la genetica nell’Accademia sovietica. Una riabilitazione insufficiente però per salvare il lavoro di chi per una vita, di nascosto, ha cercato di proseguire gli studi avviati negli anni venti dal genetista Nikolai Vavilov.
Dove non arrivò la potenza distruttiva di Stalin è riuscito, di pari passo con i drastici tagli ai finanziamenti alla ricerca registrati in tutte le ex repubbliche sovietiche, uno dei tanti conflitti travestiti da guerre di indipendenza scoppiati alla periferia, dopo il crollo dell’Impero: come ha raccontato a Galileo David Beritashvili, responsabile del progetto di automazione delle ricerche sul genoma all’Istituto di genetica dell’Accademia delle scienze russa.

Lysenko contro Vavilov

Lo scontro fra Nikolai Vavilov e Trofim Lysenko si consumò nel 1939, durante i lavori della Conferenza sulla genetica e sulla selezione, organizzata dalla rivista Sotto la bandiera del marxismo. La vittoria del secondo scienziato sul primo segnò la proclamazione ufficiale della genetica classica come “mendelismo-morganismo reazionario” e delle teorie dell’agrobiologo come “biologia socialista”.
Alla Conferenza seguì anche la fine del programma del governo guidato da Vavilov per la riorganizzazione dell’agricoltura sovietica. Un programma incentrato sulla selezione delle piante più adatte alle condizioni locali, attraverso un processo di incroci con esemplari raccolti dallo scienziato in tutto il mondo, e la loro coltura sperimentale in stazioni distribuite sull’intero territorio sovietico. La Conferenza segnò la canonizzazione del progetto suggerito da Lysenko basato sulla vernalizzazione, una tecnica che consisteva nel sottoporre le sementi al freddo per ridurre il periodo vegetativo della pianta, metodo che nel 1929 aveva incontrato un parziale successo sperimentale. Pochi mesi dopo la Conferenza, Vavilov fu arrestato con l’accusa di cospirazione e sabotaggio all’agricoltura. Morì in carcere prima che la sentenza di morte a cui era stato condannato venisse eseguita.
“La storia dell’attacco di Lysenko alla genetica sovietica – spiega Beritashvili – è basato sul principio del favoritismo, un fenomeno ricorrente in Russia, che si è ripetuto spesso sin dai tempi del principe Alexandr Menshikov con Pietro I e del principe Gregory Potiomkin con Caterina II. Lysenko promise a Stalin che sarebbe stato in grado di ottenere risultati immediati per migliorare la produttività delle coltivazioni. La sua teoria sosteneva che se i semi di grano fossero stati tenuti a temperature molto basse per diversi mesi, le piante che si sarebbero poi sviluppate sarebbero state resistenti al freddo”.
Il capo del Partito comunista sovietico rimase abbagliato dalla promessa di floride coltivazioni che avrebbero potuto raggiungere l’Estremo Oriente russo, garantire grano anche al nord-est della Siberia.
“La semplicità di questa proposta ‘scientifica’, ma, soprattutto, i risultati ‘pianificati’ a cui avrebbe potuto dare frutto conquistarono il governo. Stalin si appellò quindi agli accademici chiedendo loro di accogliere Lysenko come scienziato esemplare per tutti i biologi del paese”

La commedia della distruzione nella provincia dell’Impero

“La scuola genetica russa, che aveva fatto a tempo a consolidarsi prima della Guerra patriottica, mantendendo stretti legami con gli Stati Uniti, e con il biologo americano Thomas Morgan, Nobel per la medicina nel 1933, fu smantellata in breve tempo”, spiega Beritashvili.
“Furono molti i ricercatori che si rifiutarono di accettare le folli teorie di Lysenko, e, poco a poco, vennero tutti allontanati dagli istituti in cui lavoravano dalla propaganda organizzata dalle organizzazioni legate al Partito Comunista”, spesso deportati nei gulag.
“Se sull’attività del lysenkismo un movimento ideologico che non avrei difficoltà a paragonare al leninismo a Mosca e a Leningrado è stato già scritto molto, vorrei testimoniare un episodio esemplare e fino a ora inedito perché è ambientato alla provincia dell’impero, in Georgia. Allontanandosi dalla capitale, gli ordini del Partito che a Mosca risuonavano con grande severità, assunsero i toni della commedia, come risulta evidente da questo racconto che mi è stato fatto poco tempo fa da Josef Kapanadze, dagli anni quaranta genetista a Sukhumi, da tre anni profugo a Mosca, costretto a lasciare il suo paese e il suo lavoro, insieme ad altri 200 mila cittadini abkhazi di origine georgiana, in seguito alla guerra civile”.
“Prima della Guerra Patriottica, il genetista Nikolai Vavilov, direttore dell’Accademia pansovietica per le scienze agrarie aveva aperto in tutto il paese una rete di stazioni di ricerca dedicate alla genetica e alla selezione di piante in cui si stava formando una nuova generazione di agronomi. Uno di loro, Kapanadze, lavorava a Sukhumi, sul Mar Nero, la capitale della repubblica autonoma dell’Abkhazia, parte della repubblica socialista sovietica di Georgia”;.
“Il clima subtropicale della regione consentiva la coltivazione sperimentale di una grande varietà di piante importate da tutto il mondo per dimostrare la teoria di Vavilov, incentrata sul pensiero mendeliano, secondo cui, dato che specie provenienti da regioni diverse del pianeta presentano un patrimonio genetico molto diverso, un loro incrocio può dare frutto a nuove combinazioni genetiche e quindi a nuove varietà”.
“Prima di cadere in disgrazia, oscurato dal lysenkismo, Vavilov aveva viaggiato molto in tutto il mondo, riportando in Unione Sovietica centinaia di specie che poi distribuiva fra i diversi laboratori di botanica applicata del suo Istituto. L’Orto botanico di Sukhumi, aperto nel 1936, ospitava circa un migliaio di agrumi, di loro ibridi e di altre piante parenti provenienti da regioni equatoriali del pianeta”.
Nel 1948 il Comitato Centrale del Pcus avviò la campagna di purificazione della biologia sovietica da contaminazioni straniere. L’inizio ufficiale fu segnato in agosto dalla sessione della Vaschnil, l’Accademia pansovietica di scienze agrarie, in cui l’oratore principale fu Lysenko. L’ondata di risultati di questa decisione “scientifica” non tardò a raggiungere la periferia. E alla fine dell’anno il Partito comunista di Sukhumi ordinù al direttore dell’Orto botanico della città di liberarsi di tutte le piante “sospette” in quanto frutto di esperimenti “non scientifici”.

Il trasloco segreto delle piante condannate

“La notte precedente al giorno in cui avrebbe dovuto essere eseguita la condanna a morte per le piante, Kapanadze, allora giovane ricercatore al centro di ricerca, una filiazione dell’Accademia di Leningrado, venne buttato giù dal letto poco dopo la mezzanotte dal direttore e dal vicedirettore dell’Istituto, che gli consegnarono una manciata di targhette di legno, con sopra inciso il nome delle piante condannate, e un piano ingegnoso per il trasloco degli esemplari. Fino all’alba Kapanadze cambiò quindi i nomi alle piante, seguendo il piano architettato dai suoi due maestri, i professori Archil Gogoberidze e Alexandr Lapin, cercando di confonderne le carte il più possibile”.
“Al mattino si presenta, come annunciato, la delegazione del Partito comunista di Sukhumi con la lista delle piante condannate e operai muniti di pale e seghe. Il risultato dell’operazione fu nulla. I rappresentanti della nomenklatura locale poco sapevano di botanica e si erano così accontentati di sradicare decine di agrumi domestici, facilmente sostituibili, anche se falsamente identificati con nomi di piante esotiche. L’Orto botanico di Vavilov era stato così salvato”.
“Un telegramma inviato al Comitato centrale del Pcus confermò l’avvenuta esecuzione e per alcuni giorni tutti furono felici della loro missione. Ma le voci presto cominciarono a circolare, le denuncie di solerti scienziati informarono il Partito locale che le ‘piante colpevoli’ erano rimaste impunite”.
“Venne allora organizzata una seconda spedizione all’Istituto, questa volta alle nove del mattino e a sopresa, e fu scoperto nel laboratorio del direttore dell’istituto un ritratto gigante del ‘sedizioso’ Thomas Morgan, più volte condannato da Lysenko, il ‘miglior biologo sovietico’. Lo scandalo del ritrovamento soppiantò la ragione per cui la delegazione era ritornata all’Istituto”. Ancora una volta le piante furono salvate, anche se Gogoberidze e Lapin furono subito allontanati dall’istituto, sostituiti da un fidato seguace delle teorie di Lysenko

Non solo genetica

“Il teatrino dell’assurdo della biologia sovietica è durato circa 15 anni, un processo di censura molto lineare in uno Stato centralizzato e totalitario in cui tutte le fonti di finanziamento alla ricerca, le decisioni sui progetti e le nomine dei responsabili erano monopolio di pochi leader del Pcus. Bastava un solo decreto del Comitato Centrale perchè l’esercito di burocrati in forza da Odessa a Vladivostok eseguisse l’ordine che vi era contenuto. L’opera di distruzione non colpiva solo i singoli individui, ma soprattutto alcune linee della ricerca scientifica, scelte del tutto arbitrariamente”.
“La censura staliniana aggiunge Beritashvili non colpì solo la genetica, ma anche la cibernetica, bollata come ‘invenzione borghese e ascientifica, malsana per la scienza socialista’, e la medicina, pesantemente condizionata da Ivan Pavlov”. Grazie alla dottrina elaborata dal Comitato centrale del Pcus infatti, dopo la morte di Pavlov, negli anni trenta, la sua opera venne canonizzata. Il segnale arrivò come al solito da un articolo pubblicato sulla Pravda l’organo ufficiale del Pcus e dall’allontanamento dei ricercatori non in linea con la dottrina, accusati di “deviazioni antipavlovistiche e idealistiche”. Le vittime più autorevoli furono Leon Orbely, Peter Anokhin e Ivane Beritashvili, il nonno di David. “Ma per l’assenza di una forte personalità paragonbabile a quella di Lysenko, il pavlovismo militante si ammorbidì poco dopo la morte di Stalin. Lysenko invece riuscì a rimanere nelle grazie di Nikita Krusciov, il successore di Stalin alla guida del Pcus e della nazione. La crisi della genetica dovette così sopravvivere a lungo alla morte del suo iniziatore”.
“Bersaglio di Stalin fu anche la linguistica. Dopo la guerra, negli anni quaranta, il leader sovietico aprì infatti una campagna mirata a compredere le origini del linguaggio, una strana idea davvero, in un paese distrutto completamente dal conflitto. Ma Stalin si considerava una persona colta da giovane aveva scritto diverse poesie per bambini giudicate di buon livello e un esperto in molti, se non tutti, campi del sapere”.
ran parte dei rappresentanti della nomenklatura entrarono a fare parte dell’Accademia delle scienze, per volontà di Stalin che, nel febbraio del 1931, aveva lanciato lo slogan “impadronirsi della scienza e della tecnica”. I membri del Politburo Vyacheslav Molotov, Lazar Kaganovic e Mikhail Suslov, accettarono di venir eletti membri dell’Accademia delle scienze sovietica. Un fenomeno che non si è ancora esaurita, basti ricordare che fra i membri corrispondenti dell’Accademia delle scienze russa siede tuttora Ruslan Khasbulatov, il Presidente dell’ultimo Soviet Supremo.
Laurenti Berjia, ex capo del Kgb, fu invece nominato alla guida del programma di sviluppo nucleare, lo strumento principale per la “vittoria globale” nella competizione con il sistema capitalistico, la ragione per cui la fisica riuscì a salvarsi dalla censura staliniana. Anche se lo sviluppo di questa disciplina non è privo di episodi drammatici, come lo sfruttamento dei prigionieri politici per la costruzione delle città segrete, o l’arresto del futuro Premio Nobel Lev Landau, salvato dalla scomparsa in un gulag, come accadde invece a milioni di altri prigionieri, solo dall’intervento del Nobel Piotr Kapitsa.

La riabilitazione della genetica

Alla fine degli anni cinquanta, l’attenzione dei leader sovietici fu attirata dalla situazione catastrofica in cui si trovava la genetica. La strategia della deterrenza imponeva un sistema di difesa, quantomeno per assicurare la risposta, contro il primo colpo.
“Per questo, sia negli Stati Uniti che in Unione Sovietica, venne attribuita grande importanza alla protezione dei sopravvissuti a un attacco nucleare. Oltre alla costruzione di rifugi antiatomici, depositi per cibo e acqua, si studiarono altre forme di protezione della popolazione, soprattutto dopo la dimostrazione sperimentale che i danni da radiazione agiscono principalmente a livello ereditario. La logica su cui fecero leva i ricercatori in URSS per convincere i funzionari di partito era basata sul seguente ragionamento ‘gli imperialisti dedicano gran parte del loro tempo a pensare al modo in cui possono distruggere con armamenti nucleari il primo stato socialista del mondo, ma noi ci ostiniamo a non voler condurre ricerche sulla protezione biologica della popolazione. Per questo siamo maggiormente vulnerabili del nostro nemico’. Una logica vincente che riaprì la strada della genetica”.
Nel 1959 vennero quindi istituti quasi simultaneamente tre diversi centri di ricerca dedicati alla genetica. Il più importante, presso l’istituto Kurchatov, un dipartimento di radiobiologia guidato da Roman Khesin-Luria, uno dei primi genetisti a perdere il posto sotto il lysenkismo. Il biochimico Vladimir Engelhardt fondò in seno all’Accademia delle scienze sovietica l’Istituto di biologia fisico-chimica e radiologica, dove dal 1968 lavora David Beritashvili. Un centro di ricerca ribattezzato Istituto di biologia molecolare solo dopo la morte di Lysenko, nel 1976, e smembrato in diversi istituti nel 1990.
“I nomi di entrambe queste istituzioni mascheravano perfettamente l’orientamento genetico e molecolare impresso al lavoro che si svolgeva in queste unità in cui fu addestrata una nuova generazione di biologi ‘normalizzati”.
Il terzo istituto fu aperto alla facoltà di fisica dell’Università di Stato di Mosca, con l’istituzione della cattedra di biofisica, presso la quale si lureò Beritashvili, a coprire la quale fu nominato Lev Blumenfeld. “Iniziatori e rianimatori della genetica sovietica sono stati il Nobel per la fisica Igor Tamm, il Nobel per la chimica Nikolai Semyonov, e il rettore dell’Università di Mosca, il matematico Ivan Petrovski, tutti al riparo del tetto della fisica dall’influenza del lysenkismo ortodosso che continuava a imperare nei dipartimenti di biologia”.

L’ultima guerra

Ma facciamo un piccolo passo indietro nel tempo, in direzione di Sukhumi. “Kapanadze riuscì a proseguire silenziosamente il suo lavoro, con le piante che era riuscito a salvare. Nel 1952, poco prima della morte di Stalin, gli esemplari ibridi all’Orto di Sukhumi avevano raggiunto il numero di 4.000”.
“Tre anni fa, però, la guerra in Abkhazia, l’invasione delle truppe inviate da Tbilisi, la loro sconfitta, e l’espulsione di tutti i cittadini di origine georgiana hanno costretto il seguace di Vavilov ad abbandonare
la stazione botanica, e gli esperimenti a cui aveva dedicato tutta la vita. Dopo la caduta di Sukhumi, Kapanadze, che aveva resistito nella cittadina durante l’intero anno dell’assedio, è stato nascosto dai suoi allievi di origine abkhaza, per scampare all’opera di pulizia etnica avviata dai vincitori”. “Il governo ha poi offerto allo scienziato di proseguire il suo lavoro nella ‘nuova Abkhazia “liberata dal giogo georgiano’. Kapanadze, a cui era stata sequestrata la casa, assegnata un eroe della guerra civile, decise, impaurito, di lasciare quello che continuava a considerare il suo paese. Ora ha 69 anni, è rifugiato a Mosca, dove vive grazie all’aiuto del figlio genetista, senza un lavoro, una pensione, e notizie dell’Orto botanico”

Bibliografia

(1) Yuri Afanasiev (a cura di) Perestroika: glasnost, democratia, socislism. Inogo ne dano, Mosca, 1988.

(2) Roberto Fieschi e Paris Caludia, Macchine da guerra, Torino, 1995

(3) Silvano Tagliagambe, “Il potere staliniano e l’intellighenzia tecnico scientifica”, in L’Età dello stalinismo, Roma, 1989

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