La legge del tempo

La civiltà Maya sta vivendo un revival senza precedenti: la mostra di Palazzo Grassi a Venezia, il successo di iniziative editoriali che trattano di questa e altre culture della Mesoamerica. Un’onda di rinnovato interesse per un popolo che raggiunse una sensibilità artistica unica e che possedeva raffinate conoscenze matematiche ed astronomiche. Abbiamo intervistato José Arguelles, autore di “The Mayan Factor”, un volume che offre una visione della civiltà Maya da una nuova prospettiva archeologica, artistica, architettonica, storica, matematica, simbolica, filosofica, epistemologica.

Professor Arguelles, chi erano i Maya e perché la loro civiltà suscita oggi una così grande attenzione, oltre che tra gli studiosi, tra la gente comune?
Sono diversi i fattori che rendono questa civiltà così affascinante ai nostri occhi di uomini occidentali del XX secolo. In primo luogo, i Maya presentatici dall’archeologia incarnano la nostra idea di “civiltà perduta”. Un’immagine mitica che si andò formando nel scorso secolo con la scoperta di grandi costruzioni tra il fitto fogliame della foresta e abbandonate chissà da quanti secoli: piramidi e templi di pietra e ricoperti di geroglifici finemente scolpiti che destarono una grande impressione sulla cultura occidentale. In effetti, oggi gli archeologi tendono a liquidare l’idea che dei Maya ci si fece allora – un popolo pacifico e misticamente esaltato – giudicandola un vezzo romantico e vedono nei misteriosi geroglifici nient’altro che la descrizione dei lignaggi di re e signori – egoisti ed arroganti, non meno delle loro controparti nel Vecchio Mondo.

Il fascino dei Maya nasce dunque da una mistificazione romantica?
Non direi. Ci sono ancora molte cose che rimangono inspiegate e stimolano la nostra l’immaginazione. Per esempio, non si conosce il motivo del declino della civiltà “Maya Classica”, avvenuto verso l’830 d.C., ben prima dell’arrivo degli europei nel continente americano. E poi è sorprendente che i Maya, una stirpe di Indiani d’America che occupò l’area dell’odierno Messico e dell’America Centrale circa cinque-sette mila anni fa e il cui orizzonte tecnologico non andò mai al di là del livello dell’età della pietra, siano stati capaci di manifestazioni artistiche ed intellettuali di altissimo livello. La loro società agricola, basata sul mais, disponeva, per esempio, di sistemi matematici molto elaborati, basati sul 20 e non sul 10 come il nostro, e di sistemi calendrici, ben 17, superiori quanto ad accuratezza a quelli di tutte le altre civiltà, compresa la nostra.

Cosa è sopravvissuto di tutto questo al genocidio dei Maya da parte degli invasori europei?
Gli eredi di questa civiltà sono gli Indigeni Maya dell’attuale Guatemala, dello Yucatan e del Chiapas in Messico. Le loro condizioni di vita sono, come quelle di altre popolazioni indigene, del tutto precarie. Ma le basi della loro cultura sono sopravvissute e tra gli anziani esistono ancora i “custodi del Giorno”, che tengono lo Tzolkinil, il “conto sacro”, ciò che rimane del sistema calendrico dei tempi antichi.

Perchè i Maya avevano tanto interesse per la misurazione del tempo?
Secondo gli antropologi, il calendario Maya era solo uno strumento per determinare i tempi della semina. Secondo al mia ipotesi, invece, si trattava di un sistema per la regolazione dei tempi della vita su un piano cosmico. Lo Tzolkin, era un calendario sacro di 260 con cicli di tredici e di venti giorni che considerava i cicli siderali della Terra, della Luna e di Venere nelle loro orbite attorno al Sole. Sulla base di questi parametri, ho identificato in seguito altri cicli, più grandi e più piccoli. Ho poi ridotto l’intero codice alla sua formula matematica pura, il codice 0-19, amplificato dalla sequenza di quattro colori. E’ risultato un sistema del tempo ciclico e una visione dell’universo quadridimensionale a matrice radiale, in cui il punto zero è il sempre-presente-qui-ed-ora. In questa concezione cronocentrica il tempo è la quarta dimensione. La nostra è invece spaziocentrica, considera il tempo lineare e l’universo tridimensionale originato da un “big bang”.

E come mai questo “revival Maya” proprio in questo momento?
Le moderne società industriali, basate sulla ragione e sullo sfruttamento industriale, sono culturalmente esauste e cercano qualcosa che possa esserle sfuggito, qualcosa che trascenda la ragione e che al tempo stesso rappresenti uno straordinario perfezionamento di mente ed arte. E questo è offerto da quello che io chiamo il Fattore Maya, una diversa concezione del tempo codificata nell’architettura e nei glifi dell’Età Classica – ancora riconoscibili nei rituali e nell’analisi linguistica dei miti – ma soprattutto nel calendario, che è un modulo armonico più di un mero conto dei giorni. Per i Maya l’essenza del tempo non è nella durata, computata in ore, minuti e secondi meccanici. Piuttosto, è la sincronizzazione, qualcosa di simile al nostro concetto di sincronicità, il cui strumento supremo è il “biocomputer” umano, con le sue venti dita fra mani e piedi, e tredici articolazioni principali.

Quali sono le implicazioni pratiche dei risultati della sua ricerca?
La Legge del Tempo trova un riscontro pragmatico immediato nel bisogno urgente di sostituire l’attuale standard temporale mondiale dei dodici mesi del calendario Gregoriano con la frequenza biologicamente corretta 13:20, ovvero con il calendario di tredici lune di 28 giorni. La frequenza temporale attualmente in uso, quella 12:60, è contro natura ed è strettamente connessa al corso imboccato dall’Occidente verso una civiltà completamente tecnologica, basata sullo sfruttamento totale delle risorse naturali della Terra, con il conseguente inquinamento dell’ambiente naturale, la biosfera. L’ottimismo tecnologico si rivela miope nel credere che si possa seguire questa direzione indefinitamente. L’eredità Maya ci offre un’alternativa a questa folle corsa tecnologica. Laddove il Vecchio Ordine Mondiale Babilonese ha creato l’incubo tecnologico della civiltà moderna, forse il Nuovo Ordine Mondiale Maya può creare una che ci riporti a una dimensione più naturale.

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