“La mia seconda volta in orbita”

Poco più di mese fa lo Shuttle Endeavour ha portato sulla Stazione spaziale internazionale il primo astronauta europeo: l’italiano Umberto Guidoni. Guidoni ha aggiunto così la sua “firma” a una delle avventure tecnologico-scientifiche più ambiziose degli ultimi anni, la costruzione del grande laboratorio spaziale permanente che sarà ultimata, salvo complicazioni, entro il 2004. Al rientro in Italia dopo la missione Galileo lo ha incontrato.

Allora dottor Guidoni, quale ruolo ha ricoperto in questa sua seconda missione nello spazio?

“Mi sono dovuto occupare del trasporto del modulo logistico multi purpose Raffaello, costruito in Italia dall’Agenzia spaziale italiana (Asi) e dall’Alenia Spazio per un costo di circa 200 miliardi. Questa missione aveva due obiettivi. Il primo era di installare il braccio meccanico costruito dai canadesi. Il secondo era appunto di agganciare Raffaello, scaricare le attrezzature che trasportava, ricaricarlo con materiale di scarto da riportare a terra. Tutte queste attività sono state svolte grazie al braccio meccanico dello Shuttle che ha eseguito l’attracco di Raffaello al nodo della stazione. L’operazione comportava un certo rischio, perché spostare un oggetto da diverse tonnellate e avvicinarlo alla stazione è una manovra difficile. Abbiamo usato una telecamera che mostrava l’allineamento preciso del modulo e un sistema di computer e di sensori per il controllo delle distanze e dell’avvenuto contatto. Durante tutta questa fase, né la stazione né lo Shuttle sono controllati dai motori di assetto. Così si possono evitare fastidiose perturbazioni. Ad operazione completata si reinserisce il controllo automatico dell’assetto”.

Eppure qui a terra ci sono giunte notizie di qualche inconveniente…

“Pericoli reali non ce ne sono mai stati. Sulla stazione tutto viene eseguito attraverso il cosiddetto Command and Control, o CC: il computer centrale della struttura. Di questi cervelloni ce ne sono tre: il primo è sempre in funzione, il secondo è pronto a prendere le consegne, mentre il terzo è come addormentato, ma si può risvegliare in caso di emergenza. Invece è successo che a un certo punto nessuno dei tre CC ha funzionato… Abbiamo dovuto smontare fisicamente un computer e sostituirlo con un altro di riserva. Quello rotto lo abbiamo poi riportato a terra e i tecnici stanno ancora cercando di capire cosa è successo. Un po’ più critica è stata invece la situazione che si è presentata al rientro. A causa di nuvole basse e di forti venti laterali, abbiamo dovuto rinunciare ad atterrare al Kennedy Space Center in Florida e siamo invece arrivati all’Edwards Air Force Base in California. Questo ha significato un aumento del costo della missione di un milione di dollari per il trasporto dello Shuttle. Avremmo anche potuto rimandare l’atterraggio di un paio di giorni, il limite massimo consentito dal carburante rimasto dopo aver rimandato già di un giorno la partenza a causa del guasto del computer. Ma le previsioni del tempo davano un peggioramento per i giorni successivi. Quindi, alla fine abbiamo deciso di atterrare a Edwars”.

Sulla via del ritorno avete incrociato il taxi spaziale russo Soyuz con a bordo Denis Tito, il primo turista dello spazio. Da addetto ai lavori, cosa pensa di questa vicenda?

“Io sono convinto che il turismo spaziale sia un fatto positivo. Anche dal punto di vista economico potrà essere un grosso supporto alle attività spaziali. I finanziamenti non governativi sono un bene per tutti. Il problema è che forse è un tantino troppo presto. Quando ci sarà una Stazione spaziale funzionante, collaudata e sicura, credo che non ci sarà nulla di strano se uno dei moduli sarà dedicato ai turisti. Ma secondo me il vero problema è il veicolo che va in orbita. Non dico che ci voglia proprio un aereoplano. Ma insomma, per i viaggi “turistici” servirebbero veicoli più confortevoli dello Shuttle, che rispetto alle vecchie capsule è già una nave da crociera, ma non è ancora un veicolo per tutti. Penso a come si parte, alla sicurezza, al modo in cui si deve stare imbracati ai sedili. Serve un allenamento di almeno un anno, ma un turista che si allena per un anno non è un turista normale”.

La vicenda Tito ha compromesso in qualche modo i rapporti tra Stati Uniti e Russia sulle attività spaziali?

“La questione è stata abbastanza controversa. Tito ha offerto circa 45 miliardi di lire ai russi per coronare il suo sogno di dormire nello spazio. E loro hanno accettato. Prima aveva cercato di comprare un volo sullo Shuttle, ma la Nasa aveva rifiutato. Forse dire che i rapporti fra Usa e Russia si siano compromessi è troppo. Però, certamente c’è stato un momento di grande tensione. Il problema si è poi acuito perché noi siamo rimasti un giorno in più a causa dei problemi con il computer, proprio quando la Soyuz e stata lanciata. Ciò poteva creare grossi rischi, perché il taxi spaziale sarebbe passato a meno di un metro dalla coda dello Shuttle. Inoltre i sistemi di bordo della stazione e il filtraggio dell’aria non sono dimensionati per tutte queste persone. Saremmo stati in tutto 13. Alla fine, noi siamo andati via 12 ore prima che loro arrivassero. Proprio di corsa…”.

Parliamo di futuro: ci sarà una terza missione per lei?

“La mia terza missione è ancora piuttosto lontana: sarà un volo lungo a stazione conclusa. Ci sarebbe la possibilità di volare anche con i russi, ma preferirei farlo di nuovo con gli americani, con cui lavoro da anni e di cui conosco bene i metodi e la realtà. Per ora tornerò in Europa, in Olanda o in Germania, dove sono i centri di addestramento per gli astronauti europei. Dedicherò parte del mio tempo ad attività divulgative, che è parte del mio lavoro, e quando avrò tempo, aggiungerò un capitolo al libro che ho già scritto, sempre con la stessa casa editrice, la Sante di Renzo”.

Chi sarà il prossimo europeo a salire sulla Stazione spaziale?

“Sarà una donna, la francese Claude Andrè-Deshays. Claudine è un medico, specializzata in medicina aereospaziale. E’ un’opportunità di volo che si è creata e che i francesi hanno subito accettato. Noi purtroppo non abbiamo ancora donne astronaute in Italia, siamo solo tre: il sottoscritto, Paolo Nespoli e Roberto Vittori. Ma nessuna donna”.

Proprio mentre lei era in orbita, il presidente dell’Asi firmava un accordo la Nasa: in cambio di un maggior numero di voli per i nostri astronauti e di più spazio per gli esperimenti scientifici italiani a bordo della stazione, l’Italia dovrebbe realizzare un’altra struttura a uso abitativo…

“Per ora si tratta solo di un accordo di massima. La proposta dell’Asi ha scatenato tutta una serie di reazioni, sia da parte delle industrie americane sia dall’Esa. Se venisse confermato l’incarico, il contributo dell’Italia diventerebbe sostanziale all’interno della stazione. E quindi va rinegoziato il nostro accordo con la Nasa, che al momento ci dà circa lo 0,8 per cento della disponibilità degli americani. Qui naturalmente stiamo parlando di un altro ordine di grandezza, almeno del doppio”.

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