Due cervelli sono meglio di uno. Immaginarsi centomila. È per questo che, in un numero crescente di progetti di ricerca, gli scienziati chiedono la collaborazione di un gran numero di persone. La “mente della massa” è un enorme base di dati, una grande risorsa computazionale, e una foresta vergine da esplorare. Il progenitore di questo tipo di ricerca è “seti@home”, il progetto che chiede la collaborazione di quanti più volontari possibile per ricercare tracce di vita aliena nella enorme quantità di segnali provenienti dallo spazio. Basta installare uno speciale salva-schemo: il programma si attiva quando il computer, pur essendo acceso, resta inutilizzato, e processa una piccola parte dei dati provenienti dai telescopi astronomici. Oggi, però, per trovare un regno inesplorato, non bisogna inoltrarsi nello spazio profondo. Basta accendere il modem. Internet è cresciuta esponenzialmente, al punto che nessuno ne possiede una mappa completa. È per questo che è stato lanciato un progetto analogo a seti@home, con l’obiettivo di trovare il bandolo della matassa di cavi e apparecchiature che costituiscono la rete. Si tratta di Dimes (Distributed Internet Measurements & Simulations), promosso dal consorzio di ricerca internazionale Evergrow di cui fa parte anche l’Italia. Non si tratta del primo progetto di esplorazione della rete. Fino a ora però, le ricerche sono state altamente centralizzate. Una maniera di tracciare una mappa consiste nel far partire da un determinato computer un programma che esplora collegamenti progressivamente sempre più lontani. Tuttavia, l’osservazione di Internet da un unico punto di vista lascia nell’ombra la “conettività laterale”. In altre parole, la mappa risultante è una “albero” incentrato nel computer-esploratore, dove non compaiono i multipli collegamenti fra i “rami”. Diversi progetti hanno già cercato di decentralizzare la ricerca, ma l’approccio di Dimes è radicale: trasformare potenzialmente ogni utente in esploratore e ottenere un’immagine di internet derivata dalla somma delle immagini parziali di ciascuno. Partecipare è facile: basta collegarsi a www.netdimes.org e scaricare un programma simile a quello di seti@home. Ma se la mappa fisica di Internet è ancora frammentaria, quella dei suoi contenuti è praticamente impossibile da realizzare. Il World Wide Web è ormai composto da milioni di pagine, e non esiste alcun motore di ricerca in grado di avere un indice di tutte le pagine. Farsi strada in questo “mare magnum”, reperire informazioni significative e scartare quelle soggettivamente poco interessanti può essere un impresa disperata. Una risposta nuova a questo problema viene dal Filippo Menczer, fisico italiano trapiantato in Indiana, che coordina il progetto GiveALink. I ricercatori richiedono agli utenti di “donare” i propri bookmarks, ovvero di copiare e incollare nella loro pagina web l’insieme di links che visitano abitualmente, così come li hanno classificati nel loro browser. Questo permette di creare automaticamente una base di dati “intelligente”, che classifica i link in base alla loro somiglianza, e permette all’utente di scoprire nuove pagine. L’idea fondamentale è che le pagine che interessano di più sono quelle che interessano a utenti “simili” a me. Il progetto è appena iniziato, ma quando le donazioni raggiungeranno un livello significativo, GiveAlink si trasformerà in un vero e proprio motore di ricerca. Che da una parte funziona automaticamente, come Google, e dall’altra, si basa sulla classificazione umana, come Yahoo. GiveALink rivela un altro aspetto della “scienza di massa”. L’esplorazione dell’informazione prodotta da un gran numero di individui può dire qualcosa sui gruppi che le producono. Infatti GiveAlink potrebbe dare qualche informazione sulla relazione fra utenti e reti. Un altro esempio, in questo senso, è dato dalle ricerche della californiana Lada Adamic. Adamic sta esplorando i database dei siti web nei quali vengono depositati dati, allo scopo di trovare lavoro, amicizie o relazioni sentimentali. I risultati sono ancora problematici, soprattutto per l’eterogeneità e la imprecisione dell’informazione, ma questo tipo di ricerche aprono un pozzo d’informazioni mai stato disponibile, finora, per le scienze sociali.