La nostra era low-tech

Telefonini che scattano fotografie. Lettori mp3 in grado di ospitare migliaia di cd. Computer capaci di connettersi senza fili ai pc di tutto il mondo. La tecnologia, come forse mai in passato, è oggi alla portata di tutti. Ci circonda, ci conquista e spesso ci sorprende. Viviamo in una società hi-tech dove gli scenari dei film di fantascienza di qualche anno fa sono ormai realtà, se non superati. Tecnologia ovunque, quindi. Ma l’innovazione? O meglio: la ricerca scientifica sta producendo qualcosa per sostituire tra qualche anno le tecnologie esistenti? Secondo Jonathan Huebner, no. Fisico presso il Pentagon’s Naval Air Warfare Center di China Lake (California), Huebner ha pubblicato uno studio sulla rivista Technological Forecasting and Social Change in cui evidenzia come le tecnologie maggiormente presenti nella nostra società (telefonini, Internet e così via) non sono altro che le declinazioni di tecnologie inventate nei secoli scorsi. Per dimostrarlo scientificamente Huebner ha preso in considerazione le 7.200 innovazioni chiave pubblicate in un recente libro: The History of Science and Technology (Houghton Mifflin, 2004). Mettendo in relazione il numero di innovazioni tecniche con quello degli abitanti degli ultimi sei secoli il lavoro del fisico statunitense mostra come l’attuale tasso di innovazione stia raggiungendo rapidamente quello degli ultimi anni del Medioevo (XV secolo). Viviamo, quindi, in un’epoca buia dal punto di vista tecnologico, senza particolari innovazioni: questa la conclusione dello studio di Huebner, che vede nel 2024 l’anno in cui il tasso di innovazione sarà uguale a quello del Medioevo. “Sì, è vero viviamo in un periodo molle per quanto riguarda l’innovazione”, commenta Vittorio Marchis, docente di Storia della Tecnologia e Cultura medievale del Politecnico di Torino, “ma non direi che siamo in un Medioevo tecnologico. Anzi, magari…”.

Magari?

“Certo, il Medioevo non è mica quel periodo povero di innovazioni che molti credono. È il contrario: in quegli anni sono state ideate tutte quelle tecnologie che poi hanno trovato applicazione e fortuna nel Rinascimento. Credo, inoltre, che stiamo messi peggio di quanto dica lo studio di Huebner che non fa il raffronto tra il grado di istruzione della popolazione del Medioevo con quello attuale. Se si fosse analizzato anche questo dato sarebbe emerso che seppur più colti, tendiamo a innovare di meno”.

Medioevo, periodo molle, momento di scarsa creatività. Gli anni che stiamo vivendo non sono comunque i migliori per l’innovazione. Come mai?

“La ragione è semplice. Viviamo in un periodo di benessere che poco ci spinge all’innovazione, un po’ come quello dell’Impero Romano. Sono i momenti di necessità, di bisogno che invece portano idee nuove. Guardi il caso del cinema diffusosi negli Stati Uniti perché c’era il bisogno di divertimento a poco prezzo per tutti gli immigrati che arrivavano alla fine del XIX secolo. Il cinema era il teatro per i poveri. Lo stesso vale per l’invenzione del disco musicale, una sorta di concerto per i meno abbienti”.

Quanto incidono le logiche di mercato nei processi di innovazione?

“Moltissimo. Le faccio l’esempio dei computer. La legge di Moore dice che la potenza dei microprocessori raddoppia ogni diciotto mesi. Ma questa è una regola più imposta dal mercato che dalla scienza. Se infatti le aziende facessero sempre uscire i migliori computer che hanno a disposizione, non si potrebbero mettere spesso sul mercato calcolatori con prestazioni sempre migliori. Un altro esempio è quello di Ford che per produrre sempre più automobili a basso costo (altra necessità) inventò la catena di montaggio così da poter assumere anche personale che non sapeva né leggere né scrivere”.

Siamo quindi destinati a essere scavalcati da quei paesi che hanno più necessità e bisogno di noi occidentali?

“Credo di sì. Ma non alludo tanto alla Cina o all’Estremo oriente in genere che si stanno già occidentalizzando. Penso più all’Africa, la vera regione del mondo che ha bisogno di innovazioni per uscire dalla sua situazione. Se un paese africano trovasse un leader carismatico, ma non violento, capace di creare un sistema in grado di produrre tecnologie innovative, credo che rischieremmo un’invasione culturale paragonabile a quella dell’Islam dopo l’avvento di Maometto. Che, sì, conquistò parte dell’Europa Occidentale ma portò anche innovazioni e nuove tecnologie”.

Federico Ferrazza

Giornalista, è nato nel 1978. E' coordinatore del sito Wired.it. Ha scritto di tecnologia, new media e scienza per alcune delle principali testate nazionali; tra queste: Galileo, La Repubblica, Il Sole 24 Ore, L’espresso, Il Venerdì di Repubblica, Wired Italia, XL, Il Corriere delle Comunicazioni, Sapere. Insegna new media e giornalismo on-line in alcuni master universitari. 

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