Categorie: Salute

La pazzia nei secoli

Roy Porter Madness. A Brief HistoryOxford University Press, 2002 pp.242, euro 14,63È possibile una storia della pazzia? È una domanda che circola da diversi decenni, le cui risposte sono polarizzate su due fronti. Da un lato, chi ritiene la malattia mentale una costruzione sociale, le cui caratteristiche variano a seconda della cultura dominante, che decide di volta in volta chi è il normale, chi è il patologico. Sull’altra sponda, chi considera la follia il risultato di aberrazioni organiche, dunque malattia vera e propria. C’è del vero in entrambe le posizioni, naturalmente. Dunque fare una “storia della follia” non sarebbe altro che deformare il passato secondo una di queste due prospettive. Roy Porter, grande storico delle scienze biomediche prematuramente scomparso pochi mesi fa, ha scelto quindi una via differente per mettere insieme questo divertente e breve testo. Non la follia in sé, ma come è stata trattata, nella pratica e nella teoria, nella cultura occidentale.I primi trattamenti sono ovviamente considerati “pre-scientifici”. La malattia mentale, come quasi tutte le altre patologie, è considerata di origine soprannaturale. Dunque si parla di demoni interni, di spiriti maligni, di furie causate dagli dei. I poemi omerici, le tragedie greche, ma anche i testi biblici, sono pieni di riferimenti a stati mentali alterati a seguito di eventi al di fuori del controllo dell’essere umano. Non mancano anche reperti paleopatologici: la trapanazione del cranio è una pratica attestata da numerosi ritrovamenti archeologici, che veniva eseguita probabilmente per permettere ai “demoni” di fuggire. L’epilessia era chiamata “malattia sacra”, almeno fino a quando Ippocrate non dimostrò che la divinità non aveva alcun legame con la patologia, riducendola dunque a un insieme di cause naturali (ignote) e quindi simile in tutto e per tutto alle altre malattie. La storia della follia è quindi soprattutto una storia di razionalizzazione, almeno apparente, delle cause alla base della malattia mentale e quindi delle prassi mediche che potevano apportare qualche sollievo o eliminare il disturbo. Non si può però dimenticare l’impatto sociale, a trecentosessanta gradi, che la pazzia ha avuto, rendendo il “matto” una figura altamente simbolica. Le carte popolari lo ricordano, ma anche la caccia alle streghe è stata una tragica forma di trattamento psichiatrico, andando a colpire la devianza come più avanti faranno, ovviamente in forma più morbida, i manicomi. I capitoli centrali del libro descrivono, con l’aiuto di un suggestivo apparato iconografico, proprio l’evoluzione del significato che la società ha voluto assegnare alla follia, non sempre in senso negativo. Il matto come indovino, capace di vedere cose che altri ignorano (o magari, perché deviante, capace di dire ciò che gli altri non osano). O, più di recente, l’associazione di genio e follia, tipica dell’artista del ventesimo secolo.L’ultimo capitolo è dedicato proprio al ventesimo secolo, che ha visto il fiorire della psicoanalisi come nuovo trattamento terapeutico, e che ha aperto un intero nuovo campo di ricerca, slegando il disturbo psichiatrico dall’aberrazione organica, pure se ignota. Nell’ultimo ventennio del Novecento, ha ripreso però la spinta verso la medicalizzazione dei fenomeni mentali. In questo modo, due strategie si incrociano: da un lato l’esonero della sanità pubblica dal peso del trattamento psichiatrico; dall’altro l’aumento del consumo di farmaci, con evidente beneficio per le case produttrici. Come sottolinea l’autore nelle ultime pagine, “mai come oggi a tante persone vengono diagnosticati tanti disturbi: è questo il progresso?”

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